Salari per la transizione

Testo di Harry Josephine Giles, disponibile qui
Traduzione dall’inglese di Milo Lamanna
Revisione di Luca Lou Pinelli
Immagine di Han Deacon


Introduzione a cura del traduttore
Wages For Transition è una fanzine-manifesto, commissionata nel 2019 dal centro Dundee Contemporary Arts nell’ambito della mostra Seized by the Left Hand. La zine-manifesto dipinge provocatoriamente la transizione come lavoro e incita all’elaborazione di pratiche e di istanze per la collettivizzazione del genere. Il manifesto analizza le possibilità di emancipazione rivoluzionaria delle persone trans all’interno del sistema capitalista e ci costringe a ripensare al genere come a un lavoro di sopravvivenza

Wages for Transition adotta la prospettiva elaborata da Silvia Federici in Wages against Housework (1974) per definire la transizione come lavoro e per costruire un’argomentazione a favore di un salario per la transizione. Come persone trans, lavoriamo costantemente per produrre il nostro genere: lavoriamo davanti allo specchio, negli studi medici, lavoriamo per produrre dei generi “che possano essere nominati” . Il lavoro di transizione però non si limita alla produzione di un genere trans. Secondo Giles, infatti, il lavoro delle persone trans all’interno del capitalismo è un lavoro di riproduzione sociale: il loro genere dissidente produce il genere normativo sul quale il capitalismo si basa. Come afferma la stessa Giles in un’intervista per la rivista francese Trou Noir, la transizione è “l’esterno costitutivo del genere capitalista”, e per questo pretende un salario, non per reclamare un posto all’interno del rapporto di potere capitalista definito da esso, ma perché reclamare un salario costituisce, nelle parole di Federici, “il primo passo per rifiutarlo […], perché la richiesta di salario rende il nostro lavoro visibile, il che è la condizione indispensabile per cominciare a lottare contro di esso” (Federici 1976, p. 9)”.

Il secondo testo di riferimento per Giles è il manifesto Turn Illness Into a Weapon, un testo redatto dal collettivo socialista di pazienti SPK (Sozialistiche Patientenkollektiv). Attraverso le tesi del collettivo, Giles individua la persona trans come paziente sfruttat*, che lavora insieme all* specialista per produrre una diagnosi senza essere pagata. Turn Illness Into a Weapon permette a Giles di rendere Wages for Transition una istanza “disabile e neurodivergente”: il capitalismo produce la disabilità e costringe le persone disabili a lavorare doppiamente per vedere riconosciuti i propri corpi. 

Nel saggio Trans Care, Hil Malatino sottolinea come il genere sia un “processo laborioso e moralmente carico. È un lavoro” (Malatino 2020, p. 38). Il lavoro delle persone trans è alienato perché non possediamo ciò che produciamo e dipendiamo da altr* per il riconoscimento del suo valore. Nell’invocare un cambiamento radicale nella modalità di esistenza nello spazio pubblico delle persone trans, Malatino descrive attraverso il termine “cura” un insieme di pratiche che rendono possibile “il lavoro di vivere” delle persone trans: “la mera necessità di questo lavoro indica anche il fatto che le reti di cura più fondamentali alla persistenza della nostra esistenza sono spesso filiformi, o a volte, quasi inesistenti” (ibid., p. 41).

La richiesta di un reddito di transizione è una richiesta rivoluzionaria e transitoria: è una chiamata all’azione verso tutte le persone trans che lavorano in quello che Giles definisce “il posto del lavoro del genere”. È un appello a formare una coscienza di classe trans in un’escalation che porti sì all’abolizione del genere ma soprattutto alla collettivizzazione del genere.

Riferimenti
Federici, Silvia [1974] (1976), Salario contro il lavoro domestico, a cura del Collettivo Femminista Napoletano per il Salario al Lavoro Domestico, disponibile qui.
Malatino, Hil (2020), Trans Care, Minneapolis: University of Minnesota Press.


Lo chiamano genere. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato.
La chiamano perversione. Noi la chiamiamo assenteismo.
Ogni omicidio è un incidente sul lavoro.
Transessualità e Cis-sessualità sono entrambe condizioni di lavoro… ma la transizione è il controllo degli operai sulla produzione, non la fine del lavoro.
Più genere? Più denaro. Niente sarà più efficace per distruggere le virtù di una transizione.
Nevrosi, suicidi, desessualizzazione: malattie professionali dei trans.

 

Salari per la transizione
La transizione è lavoro. È il lavoro costante che produce il genere, che permette di vivere vite genderizzate in condizioni intollerabili. E il posto di lavoro del genere, come ogni posto di lavoro, non può che attualizzarsi tramite l’abnegazione di sé, lo sfinimento e le menzogne, piccoli sprazzi di soddisfazione che costellano settimane di alienazione e lavoro senza fine. 

Ci insegniamo da sol* come vestirci, guardando tutorial online e parlando a bassa voce. Scriviamo post lunghi come delle tesi sui forum di supporto, spiegando nel dettaglio i regimi di automedicazione con ormoni. Ordiniamo binder e mutande per il packing da  rivenditori online sfruttatori e rimandiamo indietro le etichette di reso prima che qualcuno se ne accorga. Fatichiamo per ore davanti allo specchio per portare sul nostro posto di lavoro inclusivo un genere che possa essere nominato, rispettato e pronunciato con pronomi, perché possa essere esibito davanti ai gruppi di lavoro sulla diversità. Facciamo i picchetti ai funerali. La notte, stringiamo l* nostr* amanti quando non riescono a dormire. Illustriamo ai dottori i nostri percorsi medici e facciamo finta di essere attent* quando ci ripropongono le nostre stesse nozioni. Twittiamo messaggi di supporto per gli schemi liberali di visibilizzazione e riconoscibilità escogitati dai nostri superiori per assicurarsi la nostra partecipazione compiacente nel posto di lavoro, a casa, nella famiglia nucleare. Performiamo ragionevolezza e tolleranza, assorbendo l’odio e la vergogna dei nostri antagonisti. Siamo la discarica di tutte le ansie sessuali e dell’orrore legato al genere di una società disgustata dalle sue stesse creazioni. Siamo sex worker, (decriminalizzazione ora!) produciamo il vostro intrattenimento, il vostro cibo, i vostri computer, i vostri pacchetti di assistenza, i vostri siti web, il vostro sistema d’istruzione, la vostra conoscenza, la vostra recita, la vostra città.

Tacciat* dal capitalismo come quell* con troppo genere o troppo poco, facciamo i doppi, tripli, quadrupli turni per acquisire le risorse necessarie alla produzione del nostro genere; per produrre generi che possano sopravvivere al capitalismo, almeno per un altro anno. E inoltre, in quanto quell* che il capitalismo ha prodotto tramite la sua divisione ciseteropatriarcale di classi di sesso e di lavoro di genere, e che ha sputato fuori come le rimanenze non contabilizzate del genere, ci troviamo a lavorare per produrre lo stesso genere da cui il capitalismo dipende. Voi vivete nel nostro lavoro. 

Il nostro lavoro di cura non è pagato. La nostra competenza medica non è pagata. Il genere che produciamo non è pagato. Il nostro lavoro di rappresentanza non è retribuito. Il nostro lavoro di formazione non è retribuito. Il nostro lavoro di supporto non è pagato, i nostri insegnamenti non sono pagati, la nostra scrittura non è pagata. Siamo in povertà. E così, proprio nel momento in cui i nostri generi vengono rinaturalizzati dal capitalismo liberale, mentre lo stato ci offre in elemosina fondi per l’assistenza sanitaria, pretendiamo non solo assistenza sanitaria gratuita, non solo un posto di lavoro, non solo un accordo di risarcimento: pretendiamo un reddito per la transizione.

 

La transizione è lavoro
Quando una persona cerca supporto per la transizione presso il servizio sanitario britannico, entra in un posto di lavoro in cui viene maltrattata, controllata, oppressa e sfruttata, in cui svolge un lavoro infinito per cui non viene mai pagata. Il capitalismo liberale vorrebbe vedere nelle nostre transizioni un prodotto che acquistiamo in quanto singol* consumator*, o dei trattamenti che riceviamo in quanto pazient*. In realtà, una transizione all’interno del capitalismo è una merce che produciamo lavorando insieme ad altr*, è un processo da cui viene estratto plusvalore per accumulare capitale per * padron* e in cui tutt* sono pagat* tranne noi. 

Il medico di base che convinciamo a indirizzarci a una clinica per l’identità di genere viene pagato per farsi educare da noi, ma noi non veniamo pagat* in quanto insegnanti. Feritə, supportiamo noi stessə e l’un* l’altr* per due anni, in attesa di una visita, ma non siamo pagat* come operatorə assistenziali. Quando finalmente incontriamo lo psichiatra della clinica, siamo costrett* a provare e recitare nel teatro del suo ufficio una storia abbastanza credibile da farci considerare degn* del trattamento, ma non siamo pagatə come attorə. Quando lo psichiatra produce una diagnosi, che viene barattata con una prescrizione, non veniamo riconosciutə come parte attiva di questo processo di produzione. Mentre plasmiamo la materia prima dei nostri corpi, non siamo pagatə come chirurghə, ma i nostri chirurghi riceveranno un considerevole compenso statale per quegli effetti che custodiscono così gelosamente.

Il capitale delle transizioni circola tra la sfera pubblica e quella privata secondo modalità complesse, offuscando come e in quali mani si stia accumulando. Nelle cosiddette democrazie sociali, la ricchezza dello Stato è distribuita gerarchicamente all’interno delle istituzioni statali, con manager di alto rango che controllano la disuguaglianza delle risorse e lo sfruttamento de* lavorator* trans. Con la neoliberalizzazione di questi stati, i “servizi pubblici” diventano una facciata dietro la quale la ricchezza statale viene consegnata in mani private tramite l’esternalizzazione. Persino nel modello della beneficenza, il denaro necessario viene raccolto da manodopera trans, tramite crowdfounding o agitando i secchi alle manifestazioni, per poi essere consegnato ancora una volta nelle mani approfittatrici dell’accumulo di capitale in modo da ottenere i mezzi necessari per la transizione. Qualunque sia il processo, sono sempre le persone trans a lavorare di più, per la paga più bassa o, di solito, senza alcuna  paga. 

A tutti gli stadi della transizione autorizzata facciamo lavoro di ricerca e rappresentanza per i nostri generi così che altre persone possano essere pagate per contraddirci. Così, il gatekeeping degli psichiatri crea un mercato grigio per le prescrizioni dei medici privati e per gli ormoni provenienti da farmacie online; così, le persone trans sono costrette a rimpicciolirsi per passare attraverso la cruna dell’ago psichiatrico, un processo che assicura una forza lavoro trans ancora più vulnerabile e sfruttabile. Ogni stadio di questo processo è controllato, i confini del genere creano una scarsità artificiale di forza lavoro e di assistenza sanitaria, in modo che sia più semplice estrarre plusvalore, più semplice accumulare capitale e la comunitarizzazione della transizione venga effettivamente impedita. 

Ma il comunismo di genere sta arrivando. Perché affermiamo la prospettiva del lavoro – secondo la quale una persona trans sotto il capitalismo non è né un’acquirente né un paziente, ma un* lavorator* che produce la propria transizione insieme ad altr* lavorator*, all’interno di un luogo di lavoro stratificato dal punto di vista salariale, gestito in maniera paternalistica e controllato ferocemente – non solo in modo da poter esigere il salario di transizione, ma per favorire l’abolizione del lavoro e della transizione in quanto tali. Esigere una transizione pagata è una richiesta transitoria.

Il servizio sanitario suprematista bianco, capitalista e abilista non è ovviamente l’unico, il principale o il più esemplare luogo di lavoro in cui vengono prodotte le transizioni, o dove il lavoro trans è sfruttato. Anzi, la maggior parte dei percorsi di transizione eccede i confini definiti dal sistema sanitario. Ovunque ci siano persone trans, ci sono persone che producono transizioni in comunità. All’interno delle comunità trans, condividiamo saperi e tecniche di abbigliamento, intonazione della voce, portamento, modificazioni corporee e costruzione del sé che sono essenziali per una vita trans che sia vivibile. Distribuiamo ormoni. Ci tagliamo i capelli a vicenda. Mettiamo in comune le risorse necessarie al nostro co-apprendimento. Coltiviamo sfamiglie in cui la vita trans possa essere riprodotta, in cui le risorse condivise di furti, sex work e lavoro salariato sostengano l’essere trans. Favoriamo pratiche rivoluzionarie anticapitaliste, anti-suprematiste e abolizioniste come parte della resistenza comune al genere razzista, sessista, abilista e capitalista. Qui, il lavoro di transizione si svolge simultaneamente, nella sovrapposizione di posti di lavoro comunitari e capitalistici, nella circolazione tra i due di risorse finanziarie e riproduzione sociale. 

Queste culture trans fioriscono ovunque vi siano persone trans escluse dal sistema sanitario autorizzato e da luoghi di lavoro legittimi, e quindi il lavoro qui è spesso svolto da persone razzializzate, disabili, da subaltern* del capitalismo. Ciò significa che il capitalismo razziale cerca di estrarre plusvalore da queste culture. Così, la scena ballroom di Occupied Turtle Island/Amerikkka, costruita e attraversata da persone razzializzate queer, trans e gender non-conforming, venne resa famosa al mondo esterno (e bianco) tramite processi di mercificazione, documentazione e teorizzazione che sfruttano il lavoro trans. In questi processi, le abilità e le estetiche che collettivizzano la transizione sono estrapolate dalla loro base materiale, alienate dal loro contesto sociale trans per fini altrui, e rivendute e sfruttate da pop star, registi e accademici negli ingranaggi di accumulazione del capitale. Generazioni di artisti e accademici borghesi bianchi continuano ad accumulare capitale sfruttando l* lavorator* trans razzializzat*, pagando in cambio solo una miseria, se non nulla. Eppure, il lavoro delle comunità trans contrappone a queste dinamiche la sua minaccia stravagante: la cultura trans cambia, prospera, lotta, persiste, resiste.

Il lavoro trans circola quindi tra i luoghi di lavoro, al tempo stesso collettivizzato e sfruttato nella produzione della transizione. Ma le persone trans lavorano costantemente sia individualmente che collettivamente nelle famiglie e in ogni altro luogo di lavoro per produrre le loro transizioni, perché la transizione stessa è il presupposto necessario e il risultato di rapporti capitalisti di produzione razzisti, abilisti, eteropatriarcali. La famiglia normativa è il sistema di suddivisione e sfruttamento del lavoro che riproduce corpi individualizzati per un lavoro salariato massimamente sfruttabile, un meccanismo necessario del capitalismo che sopprime la riproduzione collettiva, l’organizzazione e il dissenso dei lavoratori attraverso una soggettività atomizzata e un controllo coercitivo dei confini che arriva fino alla porta di casa. Il genere è il sistema essenziale del capitalismo per la gestione dei lavoratori, la famiglia è il dipartimento delle risorse umane del genere e la polizia è sempre a disposizione. La produzione del proprio genere presuppone e produce come esternalità sia i fallimenti che gli eccessi di genere: le persone trans. La transizione emerge quindi come l’unica forma di vita possibile sotto il capitalismo.

Le persone trans sono per definizione quelle la cui esclusione forzata determina i limiti del sistema chiuso “famiglia-capitale”, e la transizione nel capitalismo è il processo che ripara il corpo e il sé trans quanto basta perché siano funzionali all’interno della famiglia e del luogo di lavoro. Inoltre, in quanto esterno costitutivo della famiglia capitalista, il nostro lavoro, il più delle volte razzializzato e disabile, produce il genere stesso sotto la gestione brutale di uomini cisetero e dei loro zelanti subordinati. Quindi la transizione, come tutto il lavoro, è anche la condizione essenziale e il luogo della resistenza comunitaria al capitalismo.

Quando ci impadroniamo del controllo operaio della produzione dei nostri generi, lottiamo per una transizione oltre il capitale, per una parentela oltre la famiglia. Quando la transizione viene sottratta alla gestione, allo sfruttamento e alla custodia delle istituzioni sanitarie, questa emerge come forma di resistenza collettiva. In questa visione, il genere sano è una fantasia biologica e fascista la cui funzione nella testa degli sfruttatori e dei malpensanti è l’occultamento delle condizioni sociali e delle funzioni sociali della transizione. Accogliamo la transness come genere malato: la transizione, in questa forma sviluppata, è la protesta della vita contro il capitale, la forza produttiva rivoluzionaria per gli esseri umani.

Il lavoro trans sfruttato prolifera nella famiglia e in altri luoghi di lavoro: coming out, cartellini coi pronomi, cura di sé, annunci in ufficio, vacanze in famiglia, aggiornamenti amministrativi, osservanze religiose. E il lavoro trans collettivizzato prolifera nelle sale riunioni, nei siti web, nelle proteste e nei club: ballare, prendersi cura, amare, lavorare freneticamente, imparare, plasmare, cambiare, condividere, lottare, transizionare. Quando il lavoro di transizione è controllato e sfruttato è, come tutti i lavori, estenuante, noioso e costoso – trasforma la vita trans in un lavoro morto esaurandola, consuma tutta la forza produttiva rivoluzionaria della transizione attraverso i molteplici turni richiesti per sopravvivere in quanto persone trans sotto il capitalismo. La richiesta di salari per la transizione nasce da questa posizione di stanchezza e ingiustizia, è un grido di risarcimento. Ma quando il lavoro di transizione è collettivizzato, inizia a svolgere il suo ruolo sociale necessariamente rivoluzionario come presupposto, prodotto e negazione del capitalismo: quando facciamo la transizione insieme, il genere è gioiosamente privo di lavoro. Chiediamo un salario per la transizione in modo da poter lavorare insieme verso quell’orizzonte comunitario.

 

Solidarietà trans sul luogo di lavoro
Non pretendiamo che tutte le transizioni siano uguali o che tutte le transizioni possano essere comprese attraverso la relazione tra lavoro e salario. Al contrario, sosteniamo che la prospettiva della transizione come lavoro, della transizione come presupposto, prodotto e negazione del genere capitalista, è un’analisi della transizione per come appare sotto il dominio del capitalismo imperialista che ha origine negli stati colonizzatori europei. Tuttavia, affermiamo la prospettiva dei salari per la transizione come una prospettiva che può costruire solidarietà trans-lavorative e trans-transizionali. Infatti, proprio come il capitalista della piattaforma digitale insiste sul fatto che il suo autista è un “partner” imprenditoriale per oscurare il suo vero ruolo di lavoratore neofeudale che affitta i mezzi di produzione dal padrone, allo stesso modo alcune transizioni sotto il capitalismo sono valorizzate come espressioni di auto-realizzazione individuale per oscurare il ruolo della persona trans come lavorator* nel posto di lavoro del genere capitalista. Così ad alcune persone trans vengono concessi interventi chirurgici d’élite, copertine di riviste patinate, rubriche su giornali transmisogini, stipendi come poliziott* e manager della transizione, proprio per negare ad altre persone le loro transizioni, e a tutte le persone trans la loro soggettività rivoluzionaria. Coloro a cui viene negata la transizione sono il più delle volte coloro il cui genere è razzializzato, disabile, colonizzato ed escluso dal sistema di genere capitalista. Oscurare la funzione della transizione come lavoro è un meccanismo di difesa del capitalismo contro il comunismo di genere, mentre la prospettiva della transizione come lavoro espande la visione di ciò che conta come transizione come principio di solidarietà tra lavoratori.

La richiesta di salari per la transizione deve lottare contro questa stratificazione del luogo di lavoro di genere e insistere sul fatto che i salari sono dovuti a tutte le persone trans e a tutte le transizioni, anche in forme che vanno oltre i termini “lavoro” e “transizione”, fino al punto in cui i termini stessi collassano. Comprendendo che il lavoro salariato e la transizione sono prodotti da logiche capitalistico-coloniali, è quando la transizione sotto il capitalismo viene riconosciuta come lavoro che le possibilità di transizione sotto, oltre, contro, attraverso e dopo il capitalismo si espandono verso e oltre l’orizzonte comunitario.

Il salario di transizione è quindi una richiesta decoloniale che rifiuta la prospettiva limitata secondo cui solo specifiche forme coloniali di lavoro, organizzazione e transizione abbiano una soggettività rivoluzionaria. Chiediamo la fine immediata dell’occupazione delle terre indigene e del furto di risorse, e chiediamo risarcimenti per alimentare la sopravvivenza-prosperità (sur-thrivance) di tutt* coloro i cui generi e transizioni stanno risorgendo contro la colonizzazione. Esigiamo un risarcimento continuo per il lavoro logorante di tutte le persone trans di colore e di tutte le donne di colore attraverso e contro la produzione di sistemi di genere capitalistici coloniali. Chiediamo un pagamento continuo da parte degli Stati imperialisti per il lavoro degli attivisti che disfano le leggi coloniali estrattive che regolano il genere e la sessualità come parte della globalizzazione del capitalismo imperiale.

Il salario per la transizione è una richiesta disabile e neurodiversa. Per il lavoro svolto per diventare corpi e menti conformi alle costrizioni del capitalismo ciseteropatriarcale chiediamo un pagamento, e chiediamo un risarcimento per le ferite che, fin dal nostro lavoro nel grembo materno, ci sono state inflitte dal capitalismo e che il capitalismo ha trasformato in disabilità. Prima il capitalismo ci rende disabili, marchiando i nostri corpi come incapaci di produrre valore o esaurendo i nostri corpi fino a estrarne tutto il valore, e poi esige che noi disabili lavoriamo il doppio per sopravvivere. Pagateci! Prima il capitalismo ci priva del nostro genere e ci desessualizza in quanto disabili, e poi esige che noi disabili lavoriamo il doppio per avere generi e sessualità, faticando sulle app di incontri, nei reality show televisivi che ci rendono fenomeni da baraccone, ai banchi del trucco dei grandi magazzini, nei servizi fotografici sulla diversità, semplicemente per avere di nuovo dei corpi che siano valorizzati. Pagateci! Così che potremo mettere fine all’alienazione dei nostri corpi necessaria per produrre ogni valore.

Inoltre, ciò che deriva da “Ain’t I a woman?” di Sojourner Truth e da “On ne naît pas femme, on le devient” di Simone de Beauvoir è che tutte le donne lavorano per essere donne e che quel lavoro è anche un lavoro di transizione. Questo non vuol dire che esista uno stato naturale pre-genere da cui le donne si elevano a fatica per essere donne, né che la marcata differenza tra “persone trans” e “donne” come classi intersecanti sia immateriale, ma semplicemente significa che tutta la femminilità è lavoro alienato per uno scopo altrui, che tutto il genere è sempre sospetto. Transizione non significa passare da un punto fisso a un altro, né diventare il genere che si è sempre stati, ma piuttosto affrontare con un’agentività dubbia e un’incarnazione difficile il lavoro continuo dell’essere genderizzat*. Non cerchiamo quindi la felice promessa dell’euforia di genere come risoluzione, ma piuttosto migliori condizioni di lavoro sotto il genere. Per questo chiediamo a tutte le donne di unirsi a noi nella lotta per il salario di transizione e a prendersi la loro parte di ricompensa.

Queste solidarietà devono riconoscere le diverse condizioni in cui lavorano le diverse persone trans, e la lotta per il salario di transizione è una lotta per rendere chiare molteplici ontologie di lavoro e di liberazione. Il salario per la transizione non è una prospettiva universale sotto la quale tutte le transizioni devono essere sussunte, ma una prospettiva rivoluzionaria per l’espansione della transizione come categoria, per il benessere rivoluzionario di tuttə.

Salari contro la transizione
Siamo chiar*: chiediamo il salario di transizione perché è la richiesta attraverso la quale finisce la nostra natura e inizia la nostra lotta, perché volere il salario di transizione significa rifiutare la transizione come espressione della nostra natura, rifiutare precisamente il ruolo limitato in cui il capitalismo ci confinerebbe. Quando lottiamo per il salario, lottiamo inequivocabilmente e direttamente contro e attraverso il nostro ruolo sociale. Il salario di transizione è una richiesta rivoluzionaria non perché da sola distrugga il capitale, ma perché lo attacca e lo costringe a ristrutturare le relazioni sociali in termini più favorevoli a noi e, di conseguenza, più favorevoli all’unità della classe. Infatti, chiedere un salario per la transizione non significa dire che se saremo pagat* continueremo a farlo. Significa esattamente il contrario. Chiedere un salario di transizione significa rendere visibile che le nostre menti, i nostri corpi e le nostre emozioni sono state distorte per una funzione specifica, in una funzione specifica, e ci sono stati riscagliati addosso come un modello a cui tutt* dobbiamo conformarci se vogliamo essere accettat* in questa società. Il reddito di transizione è solo l’inizio, ma il messaggio è chiaro: d’ora in poi dovranno pagarci perché come persone trans non garantiamo più nulla. Vogliamo chiamare lavoro ciò che è lavoro, affinché alla fine possiamo riscoprire cos’è l’amore e fare dei nostri generi qualcosa che non abbiamo mai conosciuto
.

Per questo chiediamo non solo un reddito trans di base, in modo che le transizioni felici possano essere conciliate entro i limiti stabiliti da un’economia sana, ma la piena collettivizzazione del lavoro trans. Considerare il salario di transizione solamente come una cosa piuttosto che come una prospettiva significa separare il risultato finale della nostra lotta dalla lotta stessa e non coglierne l’importanza nel demistificare e sovvertire il ruolo a cui le persone trans sono state confinate nella società capitalista. Non regaleremo le nostre transizioni allo Stato, ma ruberemo allo Stato le nostre transizioni. Il lavoro di transizione è il lavoro della lotta di classe, e solo le azioni di solidarietà che formano una coscienza di classe rivoluzionaria possono portare all’abolizione di quella classe.

Nella misura in cui la richiesta di salari per la transizione è una richiesta di abolizione del genere, è anche e altrettanto una richiesta di collettivizzazione del genere. Stiamo lottando per abolire il capitalismo, che è ciò che produce la “transizione” come la conosciamo, e in questa lotta collettivizziamo la transizione fino a renderla irriconoscibile. Sì, come persone trans che si identificano come trans (trans-identified trans), bisogna innanzitutto capire che la transizione, come il lesbismo, è una categoria di comportamento possibile solo in una società sessista. Ma l’abolizione del genere non è la minaccia eugenetica che elimina la possibilità di incarnarsi come trans, ma piuttosto un orizzonte comunitario sempre più ampio su cui possiamo vedere il libero gioco degli ormoni, degli interventi chirurgici, dei ruoli e delle modifiche corporee, in cui la transizione non è più una proprietà delle sole persone trans e il genere non è più una proprietà delle sole donne. In tale orizzonte, scompaiono sia la femminilità che la transizione.

Quando la persona trans è pagata per il lavoro di genderizzat* nel mondo, quando le fluttuazioni ordinarie e straordinarie dell’essere genderizzat* sono celebrate e sostenute, quando la cura è liberamente disponibile ed è pagata, quando molti e dissidenti generi sono resi possibili dai valori gemelli della comunanza e dell’autonomia in una società liberata, quando non ci sono polizia e prigioni, quando non ci sono psichiatri e confini, quando non c’è accumulazione di capitale, quando la responsabilità di nutrire l* giovan* e lu anzian* e tutt* lu altr* è collettiva, quando l’istruzione è de-istituzionalizzata e dura tutta la vita, quando chiunque è sia unə scienziat* che un* care-giver che un* dottor*, quando ci assumiamo la piena responsabilità per la creazione continua dell’essere di ciascunə – in tali condizioni ciò che conosciamo come transizione si trasforma completamente.

 

Sciopero trans
Quali sono le forme di lotta di classe che la richiesta di salari per la transizione può intraprendere? Sicuramente, in quanto forza lavoro frammentata e non riconosciuta, siamo l’archetipo del precariato invisibile che resiste alla cosiddetta organizzazione tradizionale del lavoro, al sindacato del singolo posto di lavoro e al negoziatore pagato per forzare il compromesso. Ma, naturalmente, sono i precari che hanno meno da perdere, che sono più resistenti all’incorporazione nei meccanismi del capitale, il cui potere selvaggio ricrea la condizione del lavoro in quanto tale. Le persone trans richiedono quindi la piena partecipazione a un grande sindacato, e nel processo di scalata verso lo sciopero generale possiamo fare molto.

Sabotiamo i nostri posti di lavoro, scrivendo linee di codice nei back-end dei monopoli dei social media, attraverso i quali hacker genderfuck possono entrare e piratare i dati compromettenti dei milionari delle azioni petrolifere. Rubiamo ai nostri capi, facendo uscire migliaia di copie di zine transfemministe con i nostri budget per le stampanti da assistenti didatticə a chiamata. Eseguiamo scioperi atomici, inserendo i nostri corpi respingenti e non conformi nello spazio contestato dell’attivismo e costringendo i nostri compagni a scontrarsi con la normatività di genere che costituisce la loro solidarietà temporanea. Performiamo il genere alla lettera, passandoci sulla bocca rossetti rubati e inzuppando le dita in bottiglie di smalto tossico da due sterline: Sono bell* adesso? Mettiamo in comune le nostre industrie, strappando quello che possiamo dalle strategie limitate della cooperativa, del collettivo, della contrattazione sindacale, riversando le risorse che otteniamo nella lotta totale. Ci amiamo l’un* l’altr*, forgiando nuove parentele dentro e contro la fornace della famiglia, collettivizzando l’allevamento de* nostr* figl* più-che-biologic* nel prossimo battaglione di lotta rivoluzionaria: possano distruggere noi, e voi.

Il lavoro dei salari per la transizione è già iniziato. Con questo appello riconosciamo il lavoro già in corso e il lavoro che verrà nell’affermare e dis-attestare, aggrovigliare e districare le possibilità di vite trans vivibili. Sì, chiediamo un pagamento immediato da parte dello Stato per il lavoro continuo dell’essere trans: questa è la prima e ultima delle nostre richieste. Il salario per la transizione è ogni momento in cui le persone trans si appropriano delle risorse e le condividono, in cui si assumono responsabilità collettive per la riproduzione della vita trans, in cui la transizione è messa in comune.

Quando commettiamo una rapina a mano armata per finanziare i nostri ambulatori, quello è salario per la transizione. Quando le performer drag si sindacalizzano, quello è salario per la transizione. Quando distribuiamo ormoni del mercato grigio ai gender reveal party, quello è salario per la transizione. Quando prendiamo l’indennità di malattia per stare a casa a piangere e guardare tutorial di make-up, quello è salario per la transizione. Quando ci organizziamo per l’assistenza sanitaria collettiva, quello è salario per la transizione. Quando manteniamo un lavoro fino alla data dell’intervento solo per poter usufruire dei tre mesi di congedo retribuito e poi ci licenziamo subito dopo, quello è salario per la transizione, e chiediamo questo pagamento per tutte le persone trans, a prescindere dalla loro situazione lavorativa. Quando sequestriamo le proprietà della classe dirigente europea e le consegniamo nelle mani delle persone indigene internazionali, quello è salario per la transizione. Quando collettivizziamo i fondi di solidarietà, quello è salario per la transizione. Quando compriamo ogni libro mai pubblicato da donne trans di colore per le nostre biblioteche universitarie, quello è salario per la transizione. Quando scippiamo i ricchi per pagare le sedie a rotelle, quello è salario per la transizione. Quando costruiamo una casa in cui ogni persona trans possa vivere, quello è salario per la transizione. Ovunque le persone trans si organizzino insieme per ridistribuire le risorse, stanno intraprendendo una continua comunitarizzazione del genere, e ora chiediamo un salario per il lavoro di transizione, in modo che le transizioni possano aumentare fino a quando il lavoro stesso non esisterà più.

 

Ringraziamenti
Scrivo alla prima persona plurale per rendere chiare le possibilità collettive del testo e per riconoscere le molte voci che cerco di armonizzare, ma gli errori sono miei.

I due testi da cui ho attinto maggiormente, e che sono presenti in alcuni paragrafi, sono Salario contro il lavoro domestico di Silvia Federici e Fare della malattia un’arma del Collettivo Socialista dei Pazienti (Sozialistische Patientenkollektiv, SPK). Altre quattro fonti fondamentali sono il Manifesto per la salute trans di Edimburgo, la rivista Radical Transfeminism Zine, il lavoro dottorale di Nat Raha sulla riproduzione sociale trans (Queer Capital: Marxism in Queer Theory and Post-1950 Poetics) e di Jules Joanne Gleeson, raccolti su Patreon, e Wages for Advocacy di Amy Cohn.

Ho imparato il termine “sur-thrivance (lett. “sovraprosperità” o “sopravvivenza-prosperità”) da una mostra collettiva di artisti indigeni, “Two-Spirit Sur-Thrivance and the Art of Interrupting Narratives”, presso la galleria Never Apart, nel territorio non ceduto dei Kahnawake Mohawk sull’isola di Tiohtiake.

Altre influenze sono il lavoro di Alyson Escalante sul transfemminismo marxista, Full Surrogacy Now di Sophie Lewis, il “Manifesto transfemminista” di Emi Koyama, Black on Both Sides di C. Riley Snorton, “Il pensiero eterosessuale” di Monique Wittig, “The Woman-Identified Woman” delle Radicalesbians e, a sua volta, la lettura transfemminista del femminismo radicale di Cristan Williams. Ringrazio Nat Raha e Gemma Moncrieff per le conversazioni che hanno plasmato il mio pensiero e soprattutto Darcy Leigh per le continue discussioni su questo lavoro.

Per la stesura e la composizione di questo testo sono stata pagata 400 sterline dalla Dundee Contemporary Arts per la mostra “Seized by the Left Hand” del 2019, curata da Eoin Dara e Kim McAleese. Con il mio compenso ho versato 100 sterline all’illustratore per diffondere il lavoro trans retribuito, ho pagato 126 sterline per tre sedute di elettrolisi per me stessa e ho raccolto il resto per il fondo di solidarietà di Edinburgh Action for Trans Health, a cui ogni persona trans può rivolgersi.

In solidarietà, e con tutto l’amore necessario per abolire tutte le prigioni, porre fine al capitalismo, far crescere la comune di genere e stringerci l’un l’altrə,
Harry Josephine Giles
Easter Road, 2019


Milo Lamanna si è laureato in Storia nel 2023 e si guadagna da vivere lavorando in una cucina. Nel frattempo, legge, studia e, a volte, scrive di queerness. I suoi interessi speciali includono gli archivi e i film lesbici sconosciuti.


 

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