Lesbiche contro le destre

Tratto da The Lesbian Avengers’ Civil Rights Organizing Project (LACROP), principi base
Traduzione dall’inglese di Claudia Fantucchio
Revisione di Luca Lou Pinelli
Immagine
di Carolina Kroon tratta da Lesbian Avengers


Introduzione a cura della traduttrice
Nel 1992 sessanta lesbiche si presentarono davanti a una scuola elementare di New York
e si misero a distribuire ai bambini dei palloncini che li invitavano a «fare domande sulle vite delle lesbiche». Un’azione che anche oggi sarebbe dirompente, e che fu intrapresa in difesa di un programma di studi multiculturale che, malgrado includesse solo accenni molto brevi alle minoranze LGBT, era finito nel mirino della destra cristiana, che lo presentava come spauracchio alle famiglie razzializzate. Erano nate le Lesbians Avengers, già dall’origine inserite in un contesto nel quale era necessario far valere l’intersezionalità per infrangere le false dicotomie che si voleva contrapponessero le persone razzializzate e la comunità queer. Il gruppo si diffuse in tutto il mondo nel giro di un paio d’anni, e trovò il suo mezzo caratteristico nelle proteste in strada, durante le quali alla rabbia spesso si univa un tocco di umorismo. Da questo gruppo nacque il Lesbian Avengers’ Civil Rights Organizing Project (LACROP), che mirava a un più diretto intervento nella politica, spesso a partire da azioni che dessero visibilità mediatica.

Dal manuale LACROP: Out Against the Right Handbook, che il gruppo scrisse nel ’94 per guidare le compagne di tutto il mondo nella lotta, abbiamo estratto e tradotto l’esposizione delle linee guida principali. I principi identificati come fondamentali sono: dichiararsi come lesbiche; lottare nello stesso gruppo solo se se ne condividono i metodi; riconoscere e combattere classismo e sessismo nella propria stessa organizzazione; ascoltare tutte le voci all’interno del proprio gruppo, non solo quelle dominanti; condividere forze, risorse, sostegno. Malgrado i vent’anni che ci separano da questo testo, si tratta di prese di posizione molto attuali — con l’eccezione forse dell’enfasi sul coming out, che aveva naturalmente le sue motivazioni storiche, e sulla cui necessità per la comunità oggi spesso si fa prevalere la sicurezza e la serenità della persona. L’accento sull’intersezionalità, la necessità di critica dei sistemi di potere che si creano all’interno dei movimenti, l’impegno al rispetto reciproco verso i movimenti che hanno gli stessi obiettivi ma metodi anche radicalmente diversi sono tutti inviti che centrano proprio alcuni dei problemi più comuni anche adesso nei movimenti di lotta, transfemminista e non.

L’invito a non ripiegarsi nel privato è tanto più valido oggi, mentre vediamo le lotte appropriate da agenti che mirano al profitto, e come le identità marginalizzate possano diventare alibi per disinteressarsi delle ingiustizie subite da persone che vivono altre marginalità (o che si trovano all’intersezione fra più marginalità). Inoltre, l’energia e l’umorismo del testo sono particolarmente stimolanti da leggere in questi tempi disincantati.

Nota della traduttrice: ho scelto di utilizzare il femminile sovraesteso anche negli aggettivi non riferiti esclusivamente alla comunità lesbica.


Lesbiche contro le destre
Queste le conclusioni fondamentali raggiunte dal Lesbians Avengers’ Civil Rights Organizing Project a seguito degli errori commessi nel Maine e dell’enorme successo nell’Idaho. Tratto da “The Lesbian Avengers’ Civil Rights Organizing Project: Out Against the Right Handbook”.

  1. È fondamentale che ci organizziamo come LESBICHE DICHIARATE quando lavoriamo nelle nostre comunità e contro la destra cristiana.
    La destra cristiana è stata bravissima a usare l’armadio contro di noi. Quando loro parlano di ideologia gender e noi rispondiamo con messaggi de-omosessualizzati come “via lo Stato dalle nostre vite private!” o “no alla censura!”, non solo sembriamo vergognarci, ma ci dimostriamo insincere. Non possiamo aspettarci che gli elettori prendano le difese di una comunità che non si vede.

E non si parla solo di voti: fare coming out è necessario anche per poter organizzare le nostre stesse comunità. Una lesbica dichiarata può ispirarne innumerevoli altre. Cinque lesbiche dichiarate possono portare a termine con successo un’azione diretta. Dieci lesbiche dichiarate se individuano un problema possono tampinare porta a porta una città intera. Un milione di lesbiche dichiarate… avete capito, ma andiamo per gradi.

Oltre al coming out, per noi è fondamentale che si operi a partire da un nucleo costituito da lesbiche, dato che storicamente le lesbiche sono state escluse o messe in secondo piano nelle lotte di liberazione omosessuale. Certo, molte persone, specie nelle aree rurali, dovranno lavorare in gruppi misti; ma anche in quei casi cercheremo di concentrarci sull’impoteramento lesbico e sulla visibilità lesbica. Siamo un gruppo lesbico e ci impegniamo ad avere delle lesbiche alla guida di tutti i nostri progetti e di tutte le nostre azioni. Su questo non c’è margine di discussione.

  1. Le persone sono tutte diverse. Siamo più efficaci quando lavoriamo con persone con cui condividiamo le stesse fondamenta etiche e politiche, senza fare pressione perché tutte abbraccino la nostra stessa strategia o la nostra associazione.
    Crediamo che la destra si possa combattere organizzandosi in svariati modi diversi, e seguendo molti approcci differenti. Non pretendiamo che le nostre alleate siano d’accordo con noi su tutto; ma, per ottenere effetti tangibili, ha senso che ci concentriamo sul lavorare con persone che si impegnano in un associazionismo dichiarato, visibile e dal basso. Questo è il genere di impegno in cui crediamo, e da cui ci aspettiamo maggiori risultati. Non lavoriamo con gruppi di cui non condividiamo le posizioni fondamentali.

Non c’è bisogno che tutte le lesbiche, gli uomini gay e le etero progressiste si impegnino nella stessa associazione. Quando le opinioni sulla strategia da adottare sono profondamente diverse, è meglio lavorare in gruppi diversi. Cercare di mettersi d’accordo a forza di discussioni è uno spreco di tempo e fatica emotiva; e sistematicamente l’esito è che alcune persone – di solito quelle con meno risorse e/o fiducia in sé stesse – rinunciano a esprimersi e lasciano che siano le altre a stabilire la strategia.

  1. Dobbiamo combattere il razzismo e il classismo concretamente, a partire dalla nostra stessa organizzazione.
    La destra cristiana recluta nelle comunità a basso reddito, nelle aree rurali, nelle comunità di colore. Approfitta dalla povertà e della privazione di diritti civili e politici diffondendo propaganda che sostiene che le lesbiche e i gay siano un gruppo d’interesse ricco e potente che cerca “diritti speciali”. Diffonde l’idea che i diritti civili siano un insieme limitato di privilegi: se le omosessuali (immaginate come bianche e di classe media) si prenderanno la loro fetta, le persone di colore o a basso reddito (immaginate come eterosessuali) non otterranno la loro. Visione che esclude le lesbiche e gli uomini gay di colore. Peraltro, l’implicito è che i “diritti” siano in numero finito: che ce ne siano solo un tot a disposizione, e bisogni litigarseli.

Molte associazioni di lotta tradizionali non sono state in grado di affrontare questa strategia, o non hanno voluto farlo. Hanno praticamente ignorato le aree a basso reddito e rurali e le comunità di colore, dando per scontato che queste comunità non fossero blocchi elettorali degne di attenzione: che fossero troppo piccole, troppo dispersive, troppo omofobe; magari neanche segnate nei registri elettorali, né pronte a registrarsi. Non si tengono in considerazione i froci e le lesbiche che vivono in queste comunità. Un modo per dissipare i fumi della retorica dei “diritti speciali” è riconoscere ed esplicitare il razzismo e il classismo della destra cristiana, che, per la cronaca, sta usando il vecchio metodo del divide et impera: non possiamo permetterci di cascarci.

Questo vuol dire anche che non facciamo whitewashing alle nostre comunità. Ci sono associazioni che incoraggiano a dichiararsi solo alcune lesbiche e gay, quelle “rispettabili”. Come abbiamo scritto nel nostro manifesto “Out Against the Right” nel 1994: «Non accetteremo l’elargizione superficiale di diritti civili per alcune omosessuali a scapito di veri diritti umani per tutte noi. Non sacrificheremo nel nome della “strategia” né le lesbiche butch, femme, androgine, né gli uomini gay di colore, né le drag queen, né le omosessuali adolescenti, né le persone trans, né le persone sieropositive, né le omosessuali disabili, né le lesbiche e i gay che vivono in campagna».

  1. I messaggi sono più di uno.
    Possono essere vinte campagne – sono state vinte campagne – da svariate lesbiche diverse, che facevano cose diverse e portavano molti messaggi diversi. Se una lesbica porta un messaggio che per lei è importante (quanto è stato difficile il coming out con la famiglia, come ha perso il lavoro, com’è essere una lesbica che fa la taglialegna, com’è essere una bibliotecaria lesbica e vedersela coi mali della censura… eccetera), è giusto che sia in grado di esprimere quel messaggio.

Le campagne fortemente centralizzate e di stampo volontaristico chiedono alle persone queer di aderire al messaggio che hanno inventato loro, strapagando sondaggisti. Si aspettano che posponiamo il nostro obiettivo a lungo termine (mobilitare e rafforzare la nostra comunità) a favore dell’obiettivo a breve termine di vincere le elezioni. Mettere a tacere membri della nostra stessa comunità che vogliono esprimere cosa la campagna significa per loro, membri che sono le persone che dovranno convivere coi suoi effetti, è ingiusto e, come discuteremo in un capitolo futuro, neanche funziona.

Le lesbiche che si organizzano in comunità locali possono e hanno il dovere di organizzare le loro campagne e/o azioni secondo i metodi che reputano giusti — nonostante le associazioni più grandi, più tradizionali, più sovvenzionate spesso insistano che il loro metodo sia l’unico buono, e usino la trita retorica degli “esperti” e dei “professionisti” per spingere tutte a concordare con loro. Quando in realtà chiunque può andare porta a porta, organizzare un’azione di protesta, manifestare, riempire una città di volantini.

  1. È fondamentale che le lesbiche in tutto il Paese condividano risorse, esperienze e sostegno.
    Le forze contro di noi sono enormi, durevoli e ben organizzate. Non possiamo aspettarci di sconfiggerle da sole. Questo manuale è pensato per essere una delle risorse (il cui numero sta crescendo) disponibili per le lesbiche in tutto il Paese che cercano idee mentre formano le proprie strategie per l’azione. Ci abbiamo messo dentro molte idee e tattiche che per noi hanno funzionato. Non sono necessariamente i metodi migliori per fare questo tipo di lavoro, e di certo non sono gli unici, ma sono tutte cose che chiunque può provare in un modo o nell’altro, senza saperne più di quel che spieghiamo noi stesse qui.

Claudia Fantucchio (@fanclau, ella/lei), 25 anni, Padova, studentessa di sociologia, ex studentessa di lettere, ex insegnante, ex correttrice di bozze, ex tirocinante giornalista. Unica costante degli ultimi sette anni il suo blog. Ha scritto un racconto che si chiama Il pasto più importante della giornata.


 


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