“Non desidero la mera femminilità, tanto quanto non desidero la mera mascolinità”.  L’insurrezione del corpo di Zinaida Gippius

“La costruzione di una Persona collettivamente conveniente è una grande concessione al mondo esteriore,
un vero sacrificio di sé […])
(Carl Gustav Jung, in Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale)

Abstract

“I do not desire exclusive femininity, just as I do not desire exclusive masculinity”.   Zinaida Gippius’ insurrection of the body

Being at the meeting point between theoretical and political philosophy, the discourse about gender received increasing attention in the contemporary era. The philosopher and author Simone de Beauvoir stated that “One is not born, but becomes a woman”, meaning that gender is a construct, and the body a “situation” that overlooks anatomy (Butler 2022: 14). This separation between the structures of sex and gender would give new relevance to anything that is transexuality, trasvestitism, drag: appropriating the habits of the opposite sex would qualify as an act of great socio-political awareness. By accepting this complexity, contemporary queer theory often moved towards the destruction and overcoming of the concept of gender. The philosopher Monique Wittig, for example, teasing de Beauvoir to the motto of “One is not born a woman”, stated that the separation between masculine and feminine had a strictly political nature and was born from the eterosexual mode of production, which is source of oppression and violence, and underlined the importance of reorganizing the system of description of the bodies, with particular attention to language (Butler 2022: 160-161).

The present research aims to individuate in Zinaida Gippius an ante litteram awareness of the complexities of the concept of gender. Gippius had an ambiguous relationship with gender expression in all its forms. For a complete and thorough analysis Gippius should be at first considered in the cultural climate of Russian symbolism where she grew up intellectually, with its ideas about eros, body, androginy that affected her deeply. Considering Gippius a child of her time only could be simplistic, though, as her approach to this themes was significantly deep.

 

Trovandosi al punto d’incontro fra la filosofia teoretica e quella politica, la questione del genere ha ricevuto un’attenzione sempre crescente nell’età contemporanea. La filosofa e autrice Simone de Beauvoir affermava che “donna non si nasce, lo si diventa”: ovvero, che il genere è un sistema costruito, e il corpo una “situazione” che prescinde dall’anatomia (Butler 2022: 14). Questa separazione fra le strutture del sesso e del genere donerebbe una nuova rilevanza a tutto ciò che è transessualità, travestitismo, drag: l’appropriazione del costume del genere opposto si configurerebbe come un atto di grande contezza sociopolitica. Mario Mieli dipingeva lə persone transessualə come persone dalla consapevolezza quasi illuminata: “[…] si chiamano transessuali tutti gli adulti che vivono coscientemente il proprio ermafroditismo e che riconoscono in sé, nel proprio corpo e nella mente, la presenza dell’ ‘altro’ sesso”. Nell’esercizio della transessualità è però facile cadere sotto la coazione socioculturale alla monosessualità obbligata, che porta a limitarsi ad assumere i costumi del genere opposto a quello ad essi “prescritto” (Mieli 2020: 20), in quanto il corpo genderizzato non è mai una fatticità pre-discorsiva e non prescinde da ciò che culturalmente è associato a un genere o all’altro (Butler 2022: 14). Accogliendo questa problematicità, la queer theory contemporanea si è spesso orientata verso la distruzione e superamento del concetto di genere. La filosofa Monique Wittig, ad esempio, canzonando de Beauvoir al motto di “Donna non si nasce”, sosteneva che la divisione fra maschile e femminile avesse un carattere prettamente politico, e nascesse dal modo di produzione eterosessuale che è matrice di oppressione e violenza, rimarcando l’importanza della riorganizzazione del sistema di descrizione dei corpi, con particolare attenzione al piano del linguaggio (Butler 2022: 160-161).

Col seguente lavoro si propone di individuare in Zinaida Gippius una consapevolezza ante litteram delle problematicità legate al concetto di genere. Gippius si distinse per il proprio rapporto ambiguo con l’espressione di genere, ambiguità declinata in forme diverse. Per un’analisi più completa e approfondita, si ritiene opportuno collocare Gippius, in primo luogo, nella temperie culturale dove crebbe intellettualmente, quella del Simbolismo russo, con la sua filosofia, delle quali idee su eros, corpo, androginia risentì molto. Si pensa, tuttavia, che considerare Gippius meramente figlia del proprio tempo sia riduttivo, in quanto il suo approccio a queste tematiche ebbe una profondità non trascurabile.

I do not desire exclusive femininity, just as I do not desire exclusive masculinity. Each time someone is insulted and dissatisfied with me; with women, my femininity is active, with men – my masculinity! In my thoughts, my desires, in my spirit, I am more a man; in my body, I am more a woman.” (Gippius 1982: 76).

In primo luogo, è opportuno riconoscere l’influenza della filosofia di Vladimir Solov’ëv. Solov’ëv vedeva nell’eros una forza capace di stravolgere il mondo e in virtù di ciò, in Smysl ljubvi (“Il significato dell’amore”, 1892-1894) il filosofo postulava l’importanza, per i viventi, di mantenere una certa tensione erotica fino alla fine dei tempi, ove si sarebbe verificato un atto sessuale collettivo ad immortalizzare l’umanità (Matich 2005: 74). Nell’attesa, la dimensione fisica dell’eros era da sopprimere (Solov’ëv 1991 in Imposti 2004: 219). A testimonianza dell’influenza del pensiero solov’ëviano, nel saggio Vljublennost’ (“Innamoramento”, 1904) Gippius stabilisce la necessità dell’eros come strumento per fuggire dalla prigione dell’egoismo, ricercando un’unione con l’altro attraverso la quale arrivare all’unione col divino. Questo eros, per raggiungere il proprio nobile scopo, si doveva spogliare della propria corporeità per diventare vljublennost’, lo stato ideale dell’amore, ove si partecipava con corpo e anima senza arrivare alla consumazione dell’atto sessuale (Greenlee 2007: 27-28; McCormack 1982: 105). Da questa esclusione della corporeità dell’eros non poteva che derivare un rifiuto delle funzioni riproduttive del corpo e in particolare del corpo sessuato, come anche della separazione fra maschile e femminile. L’androgino diventa una figura alla quale ambire (McCormack 1982: 220).

Gippius esprimeva la propria fluidità già nella dimensione più evidente dell’analisi: quella dell’estetica. La letteratura pullula di testimonianze circa le disparatissime modalità con cui si presentava al mondo, che spaziavano da scelte al limite del cross-dressing fino a un iper-femminilizzazione quasi caricaturale. Ad esempio, una delle immagini più note dell’autrice è quella del pittore Léon Bakst, datata 1906, dove Gippius posa altezzosamente in completo alla moda maschile. Una testimonianza specularmente opposta è quella di Nina Berberova, che nella propria autobiografia, racconta Gippius amante del colore rosa e posseditrice di una vasta collezione di abbigliamento intimo, e ne riteneva la posa femminile bizzarra al punto di ipotizzare che l’autrice non fosse assegnata femmina alla nascita (Berberova 1969 in Presto 1998: 63). La presentazione estetica di Gippius è da problematizzare con attenzione: la posa alternativamente maschile o femminile presentava, infatti, gradi di complessità. Ad esempio, la già citata studiosa Jenifer Presto ha assimilato la posa maschile di Gippius a quella del dandy, figura scissa e complessa. Il dandy, infatti, è una figura maschile che si appropria di elementi del femminile e contemporaneamente vi se ne dissocia misoginisticamente (Feldman 1993 in Presto 1988: 166). A conferma di questa posizione, si osserva che nella poesia lirica dandy-decadente l’elemento femminile, incredibilmente frequente, tende a non essere soggetto ma oggetto, e vive come una idealizzazione rovesciata secondo i controprincipi della moralità decadente. Per quanto riguarda la posa (iper)femminile, Presto invece vi vede l’atto deliberato che la filosofa Luce Irigaray definiva mimétisme, ovvero l’assunzione consapevole del costume tradizionalmente associato al proprio genere allo scopo di portare alla luce i meccanismi che lo opprimono (Presto 1998: 63): “La femminilità è un travestito, è un uomo che proietta un’idea della donna dopo averla censurata, soffocata, messa da parte, messa in un gineceo” (una donna 1976 in Mieli 2020: 27).

Come moltə contemporaneə, Gippius era impegnata in una mitopoiesi personale nota ai critici come žizntvorčestvo  (Presto 1999: 625), letteralmente atto creativo (in senso ampio) della propria vita. Nonostante la defunta amasse i pettegolezzi,  si crede non sia opportuno liquidare l’attività di Gippius come una mera “farsa” di stampo decadente, bensì considerare che l’autrice potesse avere contezza della natura performativa del genere, in quanto il drag, quale gioco di estremizzazione del costume, è, come si citava prima, un atto di grande complessità e che richiede spesso un livello elevato di consapevolezza politica. Sul valore politico del drag si cita Judith Butler:

“[…] siamo in presenza di tre dimensioni contigenti di corporeità significativa: il sesso anatomico, l’identità di genere e la performance di genere. […] Il drag, così come crea un’immagine unificata della «donna» (cosa che viene spesso testata), rivela anche la distintività di quegli aspetti dell’esperienza connotata dal punto di vista del genere che vengono falsamente naturalizzati come un’unità attraverso la finzione regolativa della coerenza eterosessuale. Nell’imitare il genere, il drag rivela implicitamente la struttura imitativa del genere stesso, nonché la sua contingenza.” (Butler 2022: 194-195).

Come già brevemente accennato in introduzione, Monique Wittig teorizzava l’importanza politica del lavoro sul linguaggio e sull’opera letteraria. Secondo la filosofa, l’etichetta di “scrittura femminile” non era che un ennesimo strumento per riconfermare l’oppressione delle donne, evidenziando la diversità e alterità del soggetto produttivo tramite la semantica: “La scrittura femminile non è che il surrogato del fare le pulizie, o da mangiare” (Wittig 2019: 80-81). La scrittura, però, aveva le potenzialità di essere un potente strumento di emancipazione – una macchina da guerra – ed era pertanto fondamentale l’attenzione alle questioni formali, e in particolare alle formalità relative al genere. La distruzione del concetto di genere come matrice di oppressione passa inevitabilmente dal linguaggio:

 “[…] Il genere è l’unico simbolo lessicale che fa riferimento a un gruppo oppresso, quello delle donne. Nessun altro gruppo oppresso ha lasciato tutte queste tracce nel linguaggio, al punto che, per sradicarle, occorre stravolgerne la natura e i modi di funzionamento, non limitandosi a modificarlo a un livello meramente lessicale. Vorrei anche dire però che, a livello metaforico, tale stravolgimento consentirebbe una variazione nella relazione tra le parole assai più profonda di quei pochi concetti e di quelle poche nozioni direttamente toccate da queste trasformazioni. Tutte le parole, infatti, cambierebbero colore e tonalità, nelle loro reciproche relazioni. Gli effetti di questa trasformazione si avrebbero a tutti i livelli – a quello filosofico – concettuale, a quello politico, e a quello poetico.” (Wittig 2019: 109-110).

Il pensiero di Gippius sembra procedere sulla stessa linea: nell’articolo O ženskom pole (“Sul genere femminile”) , pubblicato nel 1923, si trovano  dichiarazioni affini a quelle di Wittig:

Art does not acknowledge two measures [male and female] but only one – its own. […] In every ‘live woman’ there is something else besides the ‘female sex’. And creativity belongs to just this portion of ‘the besides’. Only to this portion” (Gippius 1923 in Presto 2008: 143)

L’articolo fu pubblicato sotto uno pseudonimo tradizionalmente maschile: Lev Puščin . Gippius usò altri pseudonimi quali Anton Krajnij e Tovarišč German, oltre a rifiutare di firmarsi col nome esteso o col cognome del marito e in generale respingere sempre le affiliazioni alle scrittrici socializzate come donne, dichiarando la propria imprescindibile volontà di scrivere “come una persona, non solo come una donna” (Presto 2008: 137).

Anche nella produzione lirica l’adesione, ad un genere o l’altro da parte di Gippius non è mai lineare, con picchi come nella poesia Тy , del 1905, soggetto e oggetto maschile e femminile cambiano progressivamente nel testo.

Perturbante brivido in una sera di primavera,

dal gentile rametto di pioppo.

Impulso vorticante, bruciante e attento

illimitate profondità cerulee.

Nel cielo nuvoloso splende una luce, una margherita umida di rugiada, fresca di

campo.

La mia lama celeste, il mio raggio affilato,

un mistero trasparente, morbido, pulito.

Tu sei un avido e splendente fuoco al

crocevia,

e una foschia nuziale sulla valle.

Tu sei mio il gaio e spietato, sei la mia vicina e sconosciuta.

Attendevo la mia alba luminosa, e nell’attesa

sono rimasto,

mi sono tenacemente innamorata…

Sorgi, mio astro rosso e argento,

Esci, mia bicorne, mio caro, cara…

(traduzione mia)

Il “cross-dressing verbale” era una pratica abbastanza diffusa fra lə autorə socializzate come donne dell’età del simbolismo, per indubbia consapevolezza (e interiorizzazione) della poca autorità della voce femminile in quella specifica epoca storica (Taubman 1994: 172); si trova tuttavia verosimile, alla luce della complessità dell’analisi che ne è derivata, considerare che in Gippius agisse anche un sincero e personale disagio circa l’ascriversi al genere femminile, o ad un genere in generale.

Lo scopo di questa analisi – che si spera di aver perseguito – era di evidenziare quanto, al netto delle non trascurabili (né trascurate) influenze del proprio tempo, Zinaida Gippius sia una figura estremamente interessante che sarebbe opportuno portare all’attenzione di chi si occupa queer theory, e non solo del pubblico specialista slavista. Si conclude citando le parole di Deleuze e Guattari, parole che potrebbe aver pronunciato anche Gippius stessa:

“[…] ovunque una transessualità microscopica, che fa sì che la donna contenga tanti uomini quanto l’uomo, e l’uomo altrettante donne, capaci di entrare gli uni colle altre, le une cogli altri, in rapporti di produzione di desiderio che sovvertono l’ordine statistico dei sessi. Fare l’amore non è fare uno, e neppure due, ma fare centomila.” (Deleuze – Guattari 1975: 336).

 

Bibliografia:

Anneta Greenlee, Dying to belong: Women’s search for perfect love in the works of Zinaida Gippius, Kate Chopin, Galina Shcherbakova and Lya Luft, Ph.D., City University of New York, 2007.

Gabriella Imposti, Corpo ed Eros: riflessioni sparse, in Amore ed eros nella letteratura russa del Novecento, a cura di Haisa Pessina Longo, Gabriella Imposti, Donatella Possamai, Bologna, CLUEB, 2004.

Gilles Deleuze e Félix Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (trad. Fontana Alessandro), Torino, Giulio Einaudi Editore, 1975 .

Jane Taubman, Women poets of the Silver Age, in Women writers in russian literature, ed. by Clyman Toby W., Green Diana, Westport, Greenwood Publishing Group, 1994.

Jenifer Presto, Beyond the Flesh. Alexander Blok, Zinaida Gippius and the symbolist sublimation of sex, Madison, University of Wisconsin Press, 2008. La traduzione di brani tratti da questo testo è stata fatta per l’occasione da me L. G.

Jenifer Presto, The Fashioning of Zinaida Gippius, in “The Slavic and East European Journal”, Vol. 42, No. 1, 1998, pp. 58-75.

Jenifer Presto, Zinaida Gippius: Over Her Dead Body, in “The Slavic and East European Journal “, Vol. 43, No. 4, 1999, pp. 621-635.

Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (trad. Adamo Sergia), Bari-Roma, Editori Laterza, 2022

Kathryn Louise McCormack, Images of women in the poetry of Zinaida Gippius, Ph.D., Vanderbilt University, 1982.

Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2020.

Monique Wittig, Il pensiero eterosessuale (trad. Zappino Federico), Verona, Ombre corte, 2019.

Olga Matich, Erotic Utopia. The Decadent Imagination in Russia’s Fin de Siecle, Madison, University of Winsconsin Press, 2005.

Apparato iconografico:

Immagine 1: https://it.wikipedia.org/wiki/Zinaida_Nikolaevna_Gippius#/media/File:Z._Gippius_by_L.Bakst_(1906,_Tretyakov_gallery).jpg


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