In principio era il porno. E ora?
Se c’è una realtà italiana che negli ultimi anni ha posto la pornografia al centro di un discorso più aperto, critico e – soprattutto – partecipato è il progetto bolognese Inside Porn, fondato nel 2016 dalle allora studentesse e amiche Arianna Quagliotto, Giulia Moscatelli e Maria Giulia Giulianelli con l’intento dichiarato di favorire e promuovere la distribuzione di prodotti pornografici, in modo da costruire un dibattito collettivo attorno alle sessualità. Dalla sua fondazione, Inside Porn ha organizzato numerosi eventi con proiezioni di film, allestito mostre e lasciato ampio spazio di dibattito, ospitato e chiacchierato con addettə ai lavori e proposto collaborazioni come la rassegna di corti Ce l’ho Porno, presente come sezione a Ce l’ho Corto Film Festival.
Interviste sulla nascita ed evoluzione del progetto sono già disponibili in grandi numeri online[1]; in questa sede, e dando ormai per assodata la notorietà del progetto nel contesto nazionale, mi interessava confrontarmi con loro su alcuni aspetti e oggetti di dibattito sul desiderio, le sessualità e il porno. Insieme a loro, ne è uscita più una conversazione che un’intervista, quasi un flusso di idee e impressioni che da Maria Giulia rimbalzavano ad Arianna e Giulia continuamente, dalla difficoltà di dare una definizione univoca al porno fino al rapporto tra nuove tecnologie e pornografia, dalla pretesa errata che il porno abbia funzione pedagogica allo stigma intorno alla sua industria.
SD: Partirei con una domanda che può sembrare erroneamente scontata, me ne sono resa conto proprio recentemente nel porla ad alcune persone a me vicine. Di cosa parliamo quando parliamo di porno?
GM: È una delle domande più complesse e uno dei modi in cui apriamo le nostre presentazioni perché, in realtà, non esiste una definizione univoca di porno. Esistono determinate aree della società che hanno cercato di darne una definizione, chi magari a partire dalla fruizione, e quindi da ciò che il porno suscita nello spettatorə che lo vede, per cui è un materiale atto alla masturbazione o che può suscitare scandalo e quindi censura. In effetti, il porno ha un forte legame con la censura, tanto che una delle sue prime definizioni nasce in ambito giuridico dal celebre Potter Stewart della Corte Suprema americana che disse “il porno non so definirlo, ma quando lo vedo so che cos’è”. E questo è un aspetto unico di questo prodotto, che poi è di fatto un prodotto culturale. Per Di Folco c’era una divisione tra quello che è pornografia e porno, per cui lui parla di porno solamente quando si tratta di un mezzo audiovisivo, perché poi la pornografia ha origini ben più antiche, nasce ben prima degli apparati di ripresa e della fotografia nel campo letterario e testuale.
AQ: Diciamo che la pornografia è comunque soggettiva e la sua ambiguità è definita anche dal rapporto che ha con la nostra linea temporale, ovvero ciò che era pornografia una volta e ciò che lo è adesso, così come a livello geografico. Alla fine è la domanda da cui è partito questo progetto, a cui non possiamo dare una risposta univoca ma, piuttosto, stimolare riflessioni a riguardo. Ad esempio, è pornografia ciò che eccita, e quindi ciò che non mi eccita non è pornografia? Per quello che ci riguarda, non è facile incasellarla, anche perché è un oggetto troppo fluido per poterlo definire univocamente. A noi piace parlare di pornografie al plurale, perché ciò che abbiamo realmente appreso è che non si può parlare di una pornografia univoca che richiama a un unico immaginario: ecco, questo è ciò che potrebbe definire la pornografia, il tipo di immaginario che richiama.
GM: Io ho sempre pensato che se uno vuole ridurre ai minimi termini un oggetto così complesso (che di per sé è già un paradosso), lo si potrebbe definire come la messa in scena e la ripresa sotto forma di vari linguaggi di un atto sessuale – tutto ciò che potrebbe essere inteso come tale – e questo suo collegamento con un investimento dellə fruitorə che ci collega al proprio immaginario. Può portare alla sua eccitazione come al suo esatto contrario, come lo scandalo e l’ilarità, ma ti permetterebbe comunque di riconoscere quell’oggetto come pornografico.
AQ: A volte mi viene da dire che è anche il contesto che fa il pornografico. Forse noi tre come fruitrici abbiamo riconosciuto qualcosa come pornografico perché lo stavamo fruendo all’interno di un contesto che era legato al pornografico. Mi vengono in mente tutta una serie di riflessioni che abbiamo fatto su prodotti che abbiamo visto al Festival del Cinema di Berlino, in cui certe cose a un occhio esterno potrebbero non richiamare nessun immaginario, ma il fatto che vengano proiettate all’interno di un contesto simile ti fa pensare che quel tipo di prodotto sia comunque il frutto di un immaginario sessuale e lo riconosci quindi nella sua componente pornografica anche se non fa parte della tua sessualità.
MGG: Proprio per tornare a quello che diceva Arianna, l’aspetto per noi fondamentale è riconoscere che la pornografia ha tutte le declinazioni possibili che un essere umano può concepire: la pluralità dei linguaggi legata all’infinità di immaginari possibili.
GM: È legato al concetto di censura: il solo fatto che qualcosa non possa essere visto crea una ricerca pornografica. È paradossale quanto cambiano i criteri di censura a livello societario, anche nell’oggetto pornografico stesso: sto pensando al Giappone, dove molte riviste erotiche hanno gli organi genitali completamente censurati. O all’America, dove fino a tempi recenti non veniva censurato l’organo genitale ma censuravano i fluidi, come l’eiaculazione o l’urina.
Per cui è molto complesso l’oggetto pornografico, anche approcciandosi a livello di ricerca e indagine sul porno è impossibile esaurire quella domanda, riesci solo a concentrarti su un aspetto e su una delle risposte possibili a questa domanda.
SD: Infatti immaginavo fosse una domanda ostica, me ne sono resa conto ponendola ad amicə, a chi fruisce molto e chi molto meno, e tendenzialmente la risposta era soprattutto orientata a immaginare il porno secondo una visione molto personale, cioè come un prodotto che crea eccitazione per sè, e quindi automaticamente escludendo qualsiasi sessualità che non sia la propria. Mi viene in mente, per esempio, il caso della pedopornografia.
MGG: Quello è un esempio che facciamo spessissimo…
GM: Sì, è anche quello che mi manda più in crisi a livello di analisi, perché ci sono degli oggetti che io non riconoscerei minimamente come pornografici. Credo si possano dare delle caratteristiche del porno, ma è difficile definirlo nel suo complesso; anche un altro genere cinematografico qualsiasi sarebbe complesso da definire in toto. Si possono enunciare delle caratteristiche e stilemi che sono assolutamente riconoscibili, come per esempio porno-video o porno audiovisivi, ma è molto difficile definire l’oggetto nel suo complesso. Di quale porno stiamo parlando? Audiovisivo, porno-racconto, performance? Mainstream, alternativo, amatoriale?
AQ: A questo proposito, anche il fatto che nella nostra cultura si sia radicata l’immagine di pornografia molto standardizzata, che potrebbe essere quella derivante dalle grandi piattaforme, è un aspetto che ho notato anche nei nostri primi eventi, quando ho avuto delle discussioni con alcune persone dal pubblico che non la riconoscevano come pornografia, perché il semplice fatto di destrutturare un tipo di prodotto come quello pornografico così come è conosciuto, l’immaginario classico della pornografia mainstream, mandava in cortocircuito la definizione di pornografia che gran parte di loro conosceva. Anche per questa ragione parliamo di pornografie al plurale, per andare a indagare tipi di linguaggio differente, tipi di strutture differenti e di immagini differenti.
MGG: E aggiungo che uno dei nostri principi che ci spinge ancora dopo tutti questi anni con Inside Porn è che poi si può vivere in piccole bolle, basti pensare a Bologna, ma in realtà trovarsi qualcuno che come diceva Arianna ti dice che quel porno è strano, o non lo capisce, è l’utilità che abbiamo come Inside Porn: il nostro senso di esistere è nel tentativo è di scardinare, o perlomeno ampliare il più possibile l’immaginario delle persone. Non ti deve piacere tutto quello che vedi, è legittimo che alcune cose non ti piacciano o ti diano anche fastidio, ma ci deve essere costantemente il rispetto per criteri che non possono essere assenti nel discorso, ovvero la consensualità.
GM: Per riallacciarmi a questo aspetto, secondo me uno dei caratteri più interessanti del porno è che non lascia mai indifferente. Può scaturire una reazione che può essere estremamente eccitatoria e positiva come, al contrario, assolutamente disforica e disturbante, ed è uno dei motivi per cui continuiamo a lavorare con il porno e il motivo per cui il porno può diventare molto politico.
SD: Oggi il porno è pervasivo, accessibile in ogni momento e capace di rispondere pressocché a qualsiasi desiderio. Anche quando non lo cerchi attivamente, il porno trova te, basti pensare a tutte le inserzioni o ai pop up che compaiono sullo schermo quando si è connessə a internet. Allo stesso tempo, istituzioni di riferimento come la scuola e la famiglia risultano ancora incapaci di fornire un’educazione sessuale trasparente, libera e tantomeno inclusiva. Sempre più giovani si rivolgono, quindi, al porno perché insegni loro la verità sul sesso. Ecco allora che nel dibattito pubblico la pornografia diventa il capro espiatorio per sopperire alle responsabilità disattese delle istituzioni. Cosa pensate della posizione di chi sostiene che il porno dovrebbe avere un ruolo pedagogico per fare fronte a questa situazione?
MGG: Probabilmente oggi, anche per una questione di mezzi, si conosce il sesso prima. Le generazioni contemporanee si fanno molto più domande di noi. Il problema però è avere una chiave di lettura di ciò che puoi trovare: in Italia c’è una carenza importante a livello educativo rispetto a ciò che riguarda la sessualità al di là della riproduzione: non c’è conoscenza del corpo, delle relazioni.
AQ: Anche allargandolo rispetto ad altri ambiti, basti pensare a chi dice che giocare ai videogiochi fa diventare violenti, c’è una semplificazione rispetto alla complessità di una persona che si interfaccia con questi prodotti. Non è per forza vero che una persona che conosce il sesso attraverso la pornografia poi non sa rapportarsi col sesso.
MGG: Però c’è da dire che se non hai gli strumenti puoi essere veramente condizionatə. Più che un’educazione alla sessualità si dovrebbe proporre un’educazione alle immagini.
GM: La polarizzazione a cui assistiamo è che il porno viene eletto o a salvatore o a corruttore massimo dellə giovani. Io credo che il porno possa essere usato e possano esserci correnti di porno che lo vedano in funzione pedagogica ma non deve essere la sua funzione massima.
AQ: Spesso ci viene posta la domanda sul porno etico come unica possibile risposta e via legittima del porno. Secondo noi no, dovrebbe esserci un’alfabetizzazione alle immagini e quindi la possibilità per le persone che si approcciano al sesso attraverso questo strumento a capire che cosa stanno guardando.
GM: Però dovrebbero essere due percorsi separati: da una parte l’alfabetizzazione dell’immagine, pornografica e in generale; dall’altro non si può demandare a questo l’educazione alla sessualità e alle relazioni interpersonali. Potrebbero farla utilizzando immagini pornografiche, ma non ci si può aspettare che la pornografia – che risponde a un altro bisogno – si faccia carico del bisogno di educazione nella nostra società contemporanea.
Inoltre, il porno – come altri canali di distribuzione – risponde a una domanda: vediamo quelle immagini perché sono quelle più ricercate in seno alla nostra società. Il problema che abbiamo è sociale e culturale, non è il porno, dovremmo piuttosto iniziare a interrogarci su quelli che sono i nostri desideri e su canone e standard. Bisognerebbe rivendicare il proprio ruolo attivo, piuttosto.
SD: Nel dibattito pubblico, spesso si parla dell’industria pornografica mainstream al fine di metterne in luce gli aspetti negativi sul piano etico del dietro le quinte: ritmi di lavoro frenetici, retribuzione non proporzionata, discriminazioni sulla base di genere, etnia e conformità fisica, competitività. Penso anche a un film come Pleasure (2021) di Ninja Thyberg, che mostra molti dei meccanismi perversi dietro l’industria. Perché pensate che l’industria del porno sembri possedere questo particolare statuto di criticità, quando in quanto industria di successo riproduce le stesse dinamiche neoliberiste di qualsiasi altra azienda analoga per dimensioni e bacino di consumatorə?
GM: Il film di Ninja Thyberg che citi tu è interessante in questa prospettiva, perché lei è partita prima di dirigere Pleasure come femminista contraria alla pornografia, e di fatto poi ne esce un film che non è anti-porno ma critica alcuni aspetti dell’industria mainstream ed è a favore di un determinato tipo di pornografia più alternativo. Ma è molto interessante perché anche oggigiorno ci sono lati e fazioni del femminismo che permangono molto come anti-pornografia, perché spesso si rifanno soprattutto alla pornografia mainstream e identificano in quella l’oggettivizzazione della donna. Anche se di fatto storicamente è stata la stessa pornografia mainstream, con autrici che hanno dato vita ad altri movimenti (come Annie Sprinkle e Candide Royalle, che comunque partono dalla pornografia mainstream), a rivendicare tutta una serie di temi importanti per il transfemminismo contemporaneo.
AQ: In primo luogo è proprio l’agency dellə performer che non viene riconosciuto da questo tipo di posizione anti-porno, dove è soprattutto la donna a non essere mai considerata un soggetto attivo. Ci si dovrebbe esternare da questa visione e cercare di concepire l’essere attrice o performer porno come un lavoro, e non come uno sfruttamento. Sembra un concetto semplice ma si fa ancora fatica a comprenderlo: è una scelta, di base, e tutto ciò che non è scelta non può essere considerato all’interno del porno, perché sarebbe sfruttamento e abuso.
GM: Ci sono tutta una serie di falsi miti intorno al porno. Mi viene in mente un’intervista contenuta in Eppure mi piace di Mariella Popolla in cui si fa riferimento al fatto che l’opinione pubblica identifica nellə porno-attorə delle persone di basso ceto sociale, con un grado inferiore di istruzione: il porno, quindi, come unica alternativa possibile nella vita. In realtà, le ricerche di Mariella ribaltano questo falso mito, mettendo in luce come questa visione sia il prodotto di ignoranza e stereotipizzazione e riferita solamente a ciò che non è porno, ma sfruttamento; così come quando si parla di sex work si fa riferimento solo alle vittime della tratta e non si considera quanto sia ampio il tema, e che forse anziché avere un’opinione rigida e personale sarebbe meglio ascoltare l’opinione di chi fa porno e di chi fa sex work in generale.
AQ: Diciamo che di base c’è sempre il discorso della sessualità e nudità come tabù, il mettere il proprio corpo nella sua componente sessuale al servizio di un lavoro retribuito come qualcosa di cui vergognarsi, quando in realtà la gran parte dello sfruttamento deriva da industrie che non sono pornografiche, che forniscono servizi senza tabù e in cui persone impiegate mettono al servizio il proprio corpo, vedi i rider sfruttati dalle multinazionali del delivery. Il problema di Pleasure di Ninja Thyberg è che viene da chiedersi se ci fosse bisogno di un film che criticasse un’industria, nello specifico quella pornografica, quando di fatto i problemi che la protagonista vive lavorativamente sono problemi che possono essere dati in qualsiasi ambiente lavorativo competitivo, soprattutto se come lei si è persone sole, senza un appoggio o sostegno.
GM: Diciamo che il film di Thyberg può servire se viene accompagnato da una discussione che lo porta a equiparare ciò che succede alla protagonista a cose che possono accadere in altri ambienti lavorativi.
AQ: Pensiamo a tutti gli scandali legati alla ginnastica e alle testimonianze di minorenni che sono state vittime di abuso nell’ambiente, ma nessuno mette in dubbio che ci debba essere lo sport o l’agonismo. Allora sorgono queste domande: è un problema dell’industria pornografica o è un problema della percezione che l’industria pornografia ha nella società?
MGG: Per un lungo periodo storico, nei movimenti femministi gran parte dell’opinione era fortemente di condanna verso il porno mainstream. L’intenzione era quella di produrre qualcosa di diverso, ed era giusto avere una reazione in merito; tuttavia, lo schiacciare o demonizzare aprioristicamente è un errore. Oggi, si guarda alla pornografia come anche a uno strumento utile.
AQ: Per quanto riguarda la tua domanda se ci sia qualcosa di inedito del porno mainstream che abbiamo capito guardando il porno alternativo e viceversa, la prima cosa che mi verrebbe da dire è la narrazione. Se devo provare a descrivere la pornografia alternativa queer e indipendente a una persona che non sa cosa sia, la prima cosa che farei sarebbe fare una distinzione tra il tipo di narrazione messa in atto nel prodotto: un prodotto più alternativo si basa anche sull’istanza autoriale che lo crea, quindi più che cercare di rispondere a una domanda-offerta del mercato, cerca invece di raccontare se stessə, un’identità – magari non sua ma dellə performer. Non è che di base vuole eccitare per forza, non è l’intento principale, ma si concentra piuttosto su mettere in luce l’identità sessuale della persona che la crea o di chi vi partecipa. Emerge di più un sé narrante, rispetto a un prodotto in cui c’è molto più l’ammiccamento verso un fruitore esterno, che si presume sia il fulcro della produzione. Basti pensare a immagini iconiche della pornografia mainstream: lo sguardo in camera, il fatto che in molte produzioni i performer parlino con la videocamera e quindi con un ipotetico fruitore. Non voglio generalizzare perché i prodotti sono tutti diversi, ma a prescindere da tale diversità, si basa sempre su un posizionamento dell’autore rispetto a ciò che sta raccontando in quel momento.
MGG: Io mi collego a questo per una differenza che c’è nella produzione di pornografia alternativa e nel circuito che poi distribuisce questi prodotti rispetto al porno mainstream, come il documentario porno: un minigenere nel minigenere che è estremamente produttivo nel porno alternativo; un sacco di prodotti visti a festival e proiettati ai nostri eventi, inviati da artisti, sono spesso documentari. Per esempio, uno degli ultimi che abbiamo proiettato al Ce l’Ho Corto Festival, My Element Water, è un documentario ma è oggettivamente anche un porno se hai il fetish per il waterboarding: secondo me questa è un’altra di quelle cose incredibili che la pornografia ha detto, ossia “io voglio tornare alla realtà”, in qualche modo, dopo tutti i discorsi sulla non-realtà dell’immagine. Però ciò che la pornografia alternativa ha cercato di fare è creare una via separata: o l’estrema astrazione di ciò che può essere considerato un prodotto pornografico, o cercare di raccontare nella maniera più intima o diretta la reazione sessuale o non del tutto sessuale, bensì relazionale, ma di fatto reale. Questa è una grossa differenza con la pornografia mainstream: ci sono documentari anche nel mainstream, ma non sono espliciti, come se passando alla realtà si debba ripulire il porno. La pornografia alternativa non fa questo passaggio, come se non facesse distinzioni tra generi.
AQ: Un altro aspetto che ho notato è il tipo di rappresentazione che viene data delle diverse sessualità: nella pornografia mainstream tutto è ben caratterizzato, ogni elemento sessuale – che sia l’atto o la corporeità dellə performer – è sempre caratterizzata: ti presento questo perché so che questo ti piace. Mentre in quella alternativa ci sono elementi che differenziano il prodotto ma non vengono feticizzati.
GM: Per riallacciarmi alla domanda, mi vengono in mente due lezioni che mi ha insegnato Inside Porn (e il porno in generale), anche se ce ne sarebbero tante altre. In primis il fatto che si potesse fare un’altra fruizione del porno, ovvero non masturbatoria – che di fatto non rientrava nei miei gusti; invece, che ne potessi fare una fruizione di conoscenza delle sessualità, cioè non vedere qualcosa perché mi dà una prima, immediata reazione ma perché mi permette di ottenere una conoscenza di altro, più ampia. Riuscire a vedere il porno con occhi diversi e riuscire a vedere tanto porno completamente diverso da quello che avrei cercato magari in un motore di ricerca indirizzata dalle categorie prima menzionate.
In secondo luogo, soprattutto negli ultimi tempi, mi sono interrogata sull’aggettivo “etico” e quindi ragionare sulla “pornografia etica”. Di fatto l’analisi del mainstream paragonata all’alternativo dal punto di vista dell’eticità mi ha spinto a chiedermi che cosa attribuiamo realmente all’aggettivo “etico”. Se lo prendiamo dal punto di vista banalmente della retribuzione di tutte le persone coinvolte, probabilmente è più etico il porno mainstream rispetto a quello alternativo; se lo intendiamo nel senso di rispettare le singole identità e cura dei singoli elementi (anche perché i set sono banalmente più piccoli e molto più intimi), probabilmente propenderei per l’eticità maggiore dell’alternativo. Ma il discorso è molto complicato e complesso.
Negli ultimi anni ormai chiunque ci ha chiesto cosa pensiamo del porno etico, e allora lì ti chiedi: “Cos’è il porno etico?”. Ed era importante interrogarmi e, nel momento in cui guardo un porno etico e/o femminista, non approcciarmi come se avesse già un bollino di positività applicato al prodotto, ma sempre approcciarsi in maniera critica. In un laboratorio tenuto recentemente per un collettivo studentesco abbiamo presentato una selezione di trenta minuti con un mix di pornografia mainstream e alternativa e di fatto molto spesso è difficile riconoscerla. Aprioristicamente la società sta dando un’immagine positiva a un certo tipo di porno e una negativa all’altro ma di fatto non ne conosce nè l’uno nè l’altro.
È capitato a un evento della scorsa stagione con Claudia Ska che presentava il suo libro sul porno, che una persona dal pubblico ci chiedesse: “Ma quindi, il problema del porno come lo risolvereste?”, e noi abbiamo risposto: “Sì ma qual è il problema del porno?”.
MGG: Sì, perché questa persona non riusciva nemmeno a darci una definizione di cosa intendesse per “il problema del porno”. Il che non significa che non ci siano delle criticità, ovviamente.
MGG: Poi c’è un altro elemento: vent’anni fa il porno era un’industria che macinava miliardi, oggi sono delle piattaforme. Il problema è che lo scambio economico significativo non finisce più nelle tasche dellə performer o dellə regista, ma di chi si può permettere di acquisire i diritti di quel prodotto e ridistribuirlo.
GM: Ma è un problema che non riguarda nemmeno specificamente il porno, è un problema di copyright dell’immagine che riguarda più in generale le piattaforme di streaming. Il problema è non sapere definire quale sia il problema, bisognerebbe approcciarsi con un’ottica preventiva su questo tema: parliamone, svisceriamolo, conosciamo gli oggetti di cui parliamo prima di criticarli.
SD: Negli ultimi anni è emerso il concetto di post-porno, grazie al lavoro di Annie Sprinkle Post Porn Modernist (2005) e, in Italia, grazie anche al lavoro dell’artista Slavina (Malapecora) e al pamphlet Postporno di Valentine Aka Fluida Wolf della collana BookBlock di Eris Edizioni. Qual è stato il vostro primo approccio al postporno e cosa ne pensate?
AQ: Non è semplicissimo spiegare che cosa sia, ma mi rifaccio un po’ anche alle definizioni date da Rachele Borghi, ossia il fatto che i post-porno sia molto pervasivo. Non si basa solo su un tipo di pornografia audiovisiva, ma va a includere tutta un’altra serie di azioni “reali”, chiamiamole così. Noi abbiamo portato degli esempi durante i nostri eventi o comunque stretto conoscenze in ambito post-porno, artisti che decidono di fare del porno uno strumento di espressione anche al di fuori dell’audiovisivo, come attraverso le performance. Annie Sprinkle in questo senso è stata una luminaria perché è riuscita a portarlo in qualsiasi aspetto della sua vita, riuscendo a trasformare in pornografia quasiasi oggetto su cui mettesse la sua personalità artistica, si para anche di installazioni e progetti editoriali.
In Italia abbiamo i Rosario Gallardo, che sono l’icona nazionale del postporno e la loro filosofia si basa proprio su un portare il porno nella vita quotidiana, quindi non solo attraverso la loro produzione audiovisiva ma anche alla loro produzione fotografica che però deriva da ciò che fanno dal vivo. Diciamo che, in generale, il post-porno è un genere complesso che si basa più sull’azione che sulla rappresentazione.
MGG: Secondo me è molto legato all’idea di creare una comunità che tratti questi argomenti, e che allo stesso tempo sia un veicolo di conoscenze attraverso i rapporti con l’altrə. Alla fine la spinta del post-porno è creare una grande rete, una famiglia che cerca di portare un cambiamento all’interno della società. Quel cambiamento lo affrontano poi in declinazioni diverse ma che fondano un po’ tutte nel dire che la sessualità è una parte preponderante della vita di moltissime persone e che, quindi, non può essere marginalizzata esclusivamente ad ambito privato. Dev’essere però vissuto collettivamente per capirne la complessività. Per esempio, gli eventi post-porno dei Rosario Gallardo sono dei salotti in cui fanno attività molto simili alle nostre, c’è una filosofia comune ed è quella la base del post-porno: sono più legati al workshop, all’esperienzialità a quello che è la sessualità. La discussione intorno sessualità c’è sempre stata, ma è il riportarla alla vita quotidiana, alla realtà quotidiana, è una prerogativa del post-porno.
SD: Inside Porn è nato in un primo momento in ambito universitario come una ricerca di stampo etnosemiotico, per poi uscire dallo spazio accademico e assumere una forma molto più aperta e collettiva. Nella vostra evoluzione, è evidente quanto l’occupare – e creare – degli spazi sicuri dove generare un dialogo orizzontale e un confronto attivo con un pubblico ampio sia al centro della vostra identità e finalità come progetto. Cosa vi ha insegnato in questi anni questo scambio a proposito di come guardiamo alle sessualità, e come le viviamo?
MGG: Per quanto poi ci siamo allontanate dall’ambito universitario, io credo sia stato fondamentale partire da lì. Ci ha dato una visione più imparziale e astratta sul tema, d’altronde nel percorso di studi etno-semiotico una delle regole base era di avere consapevolezza del proprio posizionamento all’interno di ciò che si tratta. È stato un dono dell’ambito accademico, diciamo. L’ambito universitario poi si sposta su dei binari piuttosto rigidi che non ti permettono di fare ricerca come vorresti, basti pensare anche alle limitazioni culturali: noi dovemmo fare delle lezioni sulla pornografia senza mostrare le immagini pornografiche, per dire. Ciò rendeva tutto estremamente complicato. Detto ciò, l’università ci ha anche permesso di ottenere un lasciapassare per accedere a tutta una serie di eventi, realtà, aprendoci così moltissime porte.
GM: Ciò che ci hanno dato gli eventi negli ultimi anni, dopo il buco nero della pandemia, è stata anche la possibilità di esplorare la pornografia non solo in campo video ma in molti linguaggi, grazie anche alla collaborazione con TPO che ci ha permesso di allestire delle mostre, organizzare sonorizzazioni live, che sono tutti tipi di linguaggio che è difficile esplorare o presentare a un pubblico in ambito accademico.
AQ: Inoltre, ciò che ci dà in più il creare eventi culturali rispetto a delle lezioni accademiche è senz’altro il maggiore contatto col pubblico, che è ciò che ci ha spinte in primis a organizzare questi eventi. Noi siamo arrivate con il cartellino dell’Alma Mater Studiorum di Bologna al Pornfestival di Berlino e ci siamo scontrate con una realtà completamente diversa, fatta di condivisione, incontri, panel, dove le persone si esprimevano in un ambiente-community. Abbiamo capito allora che forse c’era bisogno di uno spazio simile a Bologna.
GM: Creando eventi pubblici abbiamo scoperto che c’era un grandissimo entusiasmo, questa voglia di parlare di queste tematiche non era solo nostra ma condivisa. Per me la possibilità di fare un evento era estremamente positiva, perché da un lato invitiamo qualcunə come ospite e condividiamo un momento di informazione e scoperta (anche per noi che come organizzatrici siamo in fondo parte del pubblico), dall’altro per scoprire punti di diversi differenti attraverso le domande del pubblico.
MGG: In futuro ci piacerebbe avere uno spazio che sia solo nostro per organizzare gli eventi di Inside Porn, ma è un sogno che richiede molto tempo per diventare realtà, soprattutto in una realtà come quella italiana dove i fondi pubblici per queste realtà non esistono. A Bologna, comunque, ormai abbiamo una comunità, c’è un nucleo di varie entità che ragionano, seguono gli eventi e contribuiscono in primis agli eventi.
SD: Il porno è sempre al passo con i tempi e con le nuove tecnologie, mi viene in mente quando durante una diretta[2] con SessFem Bologna avete proprio menzionato l’esperienza di usare la realtà aumentata al Pornfilmfestival di Berlino, se non ricordo male. Recentemente, sta ricevendo molta visibilità la crescita del cosiddetto “deepfake porn”[3], ossia la creazione, a partire da una o più immagini, di qualcos’altro, che non è reale ma che mima il reale, tutto per mezzo della tecnologia AI. In sostanza, monti delle immagini reali su dei video porno pre-esistenti. Secondo le stime, la quasi totalità dei deepfake porn distribuiti online ritraggono donne, perlopiù celebrità ma non solo, e quasi tutti sono non consensuali. Ovviamente questo è un problema che coinvolge non solo il consenso e la relazione che intessiamo con il concetto stesso di celebrity – anche se, come detto, non si limita a loro -, ma anche la perdita della propria immagine e l’uso che se ne fa. Partendo da questo spunto, come vedete l’evoluzione del porno in futuro, sia da un punto di vista visivo e immaginifico, sia da un punto di vista etico, inteso come produzione del lavoro da parte di chi produce e chi ci lavora?
GM: Secondo me anche questa è una domanda che si porta dietro un discorso più ampio e che non riguarda nello specifico solo il porno. Questo riguarda però un problema che abbiamo con la condivisione e la privacy di tutti i materiali che pubblichiamo online, riguarda più in generale il diritto all’immagine. Che poi venga applicato al porno, diventi un meme o un video virale è un discorso che non riguarda più nello specifico l‘ambito del porno ma altre sedi ed è un problema che fronteggeremo sempre di più, è lo stesso discorso con le intelligenze artificiali per la produzione di testi o foto, disegni, dipinti ecc.
MGG: Infatti secondo me il problema sta soprattutto nell’ambiguità della percezione di quel prodotto, per esempio se non c’è un simbolo che dichiara che tale immagine è il prodotto di un’intelligenza artificiale, qualcosa che dica che si tratta di un fotomontaggio. È un problema più ampio che ha a che fare con tutt* noi, e con l’uso delle nostre immagini caricate online, ed è chiaro che sia un’arma utilizzata soprattutto contro le donne.
SD: Per concludere, potreste consigliarci dei testi o dei materiali audiovisivi che vi sono stati utili per ampliare le prospettive che avevate su porno, sessualità e desiderio? Io, intanto, mi aspetto prima o poi un volume scritto da voi tre.
Biasin, E. et al. (a cura di)
2011 Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, Mimesis, Milano- Udine.
2014 Porn After Porn. Contemporary Alternative Pornographies, Mimesis International, Milano-Udine.
Borghi, R.
2014 “Post Porn. Or, Alice’s Adventures in Sexland”, in Biasin E. et al. (a cura di), Porn after
porn. Contemporary Alternative Pornographies, Mimesis International, Milano-Udine.
Di Folco, P.
2005 Dictionnaire de la pornographie, Presses Universitaries de France, Paris (trad. it. Dizionario della pornografia, CSE, Torino, 2006).
Ogien, R.
2003 Penser la pornographie, Presses Universitaires de France, Paris (trad.it Pensare la pornografia. Tutti la consumano, nessuno sa cos’è, Isbn Edizioni- Il Saggiatore, Milano, 2005).
Popolla, M.
2021 Eppur mi piace… Immaginari e lavoro tra femminismi e pornografie, DeriveApprodi, Roma.
Sprinkle, A.
1998 Post-Porn Modernist. My 25 Years as a Multimedia Whore, Annie Sprinkle (trad.it. Post-porn modernist. 25 anni da puttana multimediale, Venerea Edizioni, Roma, 2005)
Torres, D. J.
2014 Pornoterrorismo, Golena Edizioni.
Williams, L.
1989 Hard Core. Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, University of California Press, Berkeley.
[2] https://www.facebook.com/SessFemBo/videos/703189473775046
[3] https://www.cosmopolitan.com/it/sesso-amore/a42294582/deep-fake-porn-cos-e-news/
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