La successione o anche la simultaneità coreografica dei corpi amati è la negazione della cronologia borghese.
Daniela Ranieri, Stradario aggiornato di tutti i miei baci
Per chi vive ai margini ogni vicolo rischia di diventare frontiera.
Ce ne si può fare un’idea all’indirizzo queeringthemap.com, dove è possibile visualizzare una sorta di cartografia affettiva su cui, grazie a un lavoro collettivo e transnazionale di condivisione dei ricordi, come in un Google Maps della memoria, ogni segnaposto per strada, a scuola o su una stazione si rivela, sotto un filtro color fenicottero, pietra miliare della modesta e irriducibile esperienza di chiunque si sia sentitə chiamatə in causa da quello strano aggettivo (e parte della comunità che quest’ultimo denota). Nato nel 2017 da un progetto dell’artista canadese Lucas LaRochelle, il progetto è arrivato a ospitare oltre 400.000 storie scritte in 26 lingue diverse, e rappresenta una dimostrazione grafica di quanto l’occupazione dello spazio pubblico, da sempre storicamente oggetto di tensioni e scontri tra sessualità marginali ed egemoniche, resti ancora oggi forse la vera questione per l’emancipazione (e, perché no, la proliferazione) di ogni soggettività non conforme – si tratta del resto di un tema recentemente affrontato in ottica femminista da saggi come La città femminista di Leslie Kern o Lo spazio pubblico di Federica Castelli.
Il sociologo e filosofo Didier Eribon ha evidenziato come “la partecipazione ad una stessa sessualità stigmatizzata, come pure la marginalizzazione e l’esclusione che essa comporta, sono alla base della costituzione di un mondo specifico, inscritto tanto nella topografia delle città quanto nella personalità degli individui che vengono ad aggregarvisi facendola esistere e perpetuandola nel corso delle generazioni” (Eribon 2015, p. 33). Secondo Eribon si è avuto e si avrebbe ancora “una fantasmagoria dell’‘altrove’ presso gli omosessuali e altri ‘devianti’, un ‘altrove’ che offrirebbe la possibilità di realizzare aspirazioni che molte ragioni sembravano rendere impossibili, impensabili, nei loro paesi d’origine” (ibid., p. 26). Sarebbe dunque quasi congenito che “l’omosessualità fa lega con la città” (ibid., p. 27).

D’altro canto il paese, per richiamare il suggestivo affresco recentemente offertoci dallo scrittore Alberto Ravasio, “è quel posto preindustriale, prescientifico, precolombiano e felice di esserlo, che resta sempre uguale quando tutto intorno cambia. Il paese è periferico ma non è periferia: se la periferia è assenza frustrata dalla città, il paese, quando chiude gli occhi, sogna se stesso, sta bene dove sta e dove è sempre stato, fuori dai casini, ovvero dalla Storia, tutto accade all’indicativo presente, senza passato e senza futuro. Immune dal bacillo della cultura, ripulito e ingrassato dal boom economico ma eternamente mezzadro nella calotta cranica, il paese crede di aver visto tutto perché in fondo non ha mai visto niente, non ha altro obiettivo a parte quello di reiterare se stesso, in un circolo gastrico chiuso, lavoro-casa-chiesa, dove il battesimo coincide con il funerale, la bocca con lo sfintere” (Ravasio 2022, p. 47).
Oltre che da un carattere spaziale, l’esperienza queer risulta contestualmente marcata anche da una propria specifica temporalità, Eribon infatti prosegue: “spesso le vite gay sono vite differite: iniziando quando un individuo si reinventa uscendo dal suo silenzio, dalla sua clandestinità vergognosa, o comunque allestendosi degli spazi in cui gli è possibile essere ciò che è e che vuole essere” (Eribon 2015, p. 36). Quello di una seconda adolescenza, caratterizzata da una più libera esplorazione e ridefinizione tanto della propria identità quanto dei propri comportamenti e abitudini, è un tema ricorrente nell’esperienza di chi si ritrova a passare dalla provincia alla città (o a lasciare ambienti ostili per contesti più aperti).
« I enjoy my gay moment here! <3 » Cassero, Bologna.
« This city is where i felt normal for the first time. Being a lesbian isn’t a peculiarity anymore, it’s just a part of who i am » Via Zamboni, Bologna.
Già a un primo sguardo su Queering The Map, del resto, ci si rende conto immediatamente di come su questa cartina le epifanie amorose si confondano con le euforie di genere, i racconti dei primi appuntamenti con i resoconti dei primi coming out: uno stradario sentimentale i cui cartelli sembrano seguire quel puro ma conturbante sfaldamento fra la creazione dell’identità personale e l’irruzione dell’altro da sé che marchia l’adolescenza – un cedimento che forse, proprio per questa sua virtù fanciullesca, continua a segnare anche il lessico e le categorie dei nostri discorsi politici delle nostre autorappresentazioni sociali degli ultimi decenni.
We Are Everywhere, per riprendere uno dei più famosi slogan dei moti statunitensi degli anni ’70, è ciò che queste tracce rosa sembrano voler ricordare a ogni incrocio: con il loro carattere fantasmatico, queste testimonianze di esistenze e resistenze queer riescono a essere occasione di mutua solidarietà per coloro che leggendole sentono la propria esperienza affine a quella di chi vi scrive, così come al contempo possono apparire una velata minaccia per chiunque altro possa invece credere che i suoi utenti si accontenteranno di vivere la propria diversità tra le mura di casa propria.
In Egemonia sessuale, Christopher Chitty, riprendendo quanto già evidenziato dal teorico queer antisociale Lee Edelman (Edelman 1994, pp. 79-92), nota come durante gli anni culminanti dell’epidemia di AIDS – e la contestuale stigmatizzazione come “untori” – si sia sviluppata “una grammatica condivisa di possibilità e disponibilità sessuale, prodotta dalle pratiche di cruising negli spazi pubblici”: l’omosessualità sarebbe stata pertanto riconcettualizzata come un’appropriazione controegemonica dello spazio urbano fino ad assumere delle forme di riconoscimento e delle strutture del sentimento improntate su un modello virale di intimità tra estranei. “Perversamente, quindi, l’identificazione culturale dell’omosessualità con il virus ha generato una nuova forma di autocoscienza omosessuale a posteriori: l’AIDS non solo ha catalizzato un nuovo tipo di coscienza storica gay, ma sembrava manifestare la stessa strutturazione semiotica della soggettività ipotizzata dal pensiero poststrutturalista” (Chitty 2023, p. 234).
« Dopo il primo coming out sono cicciati fuori queer come se piovessero. ho adorato » Via Santissima Trinità, Gaeta.
« Having a queer teacher for the first time and realizing that maybe i could have a future too » Via Benedetto Croce, Napoli.
« Ostuni is such a gay town » Chiesa di San Francesco d’Assisi, Ostuni.
Sarebbe altrettanto interessante chiedersi che genere di effetti questa e altre modalità ancora più familiari di visualizzazione della propria presenza spaziale possano avere sul senso di appartenenza e di autocoscienza di sessualità oggi sempre più tecno-mediate. Che sia da ricondursi a un non troppo paradossale effetto inibitorio che l’anonimato può avere sulla spudoratezza, o semplicemente alla demografia per lo più femminile dei suoi utenti, a figurare su Queering The Map sono relativamente poche le semplici storie di sesso, almeno per una comunità, come la nostra, che del sesso sembrerebbe farne una delle proprie bandiere. Niente limoni appoggiati ai cancelli sotto lo sguardo intimo di cento balconi, niente seghe rubate ai bagni di un McDonald’s, niente pompini in auto, senza neanche slacciarsi la cintura di sicurezza, offerti a uomini che non riconoscerai più.
C’è infatti anche chi – tra le possibili diverse mappature di tutte quelle città altre che scorrono accanto alla Città ben illuminata dalla luce del sole e propriamente legittimata dagli urbanisti del buon costume – continua a sentirsi forse più al sicuro nel battere percorsi meno spianati come quelli virtuali grigio metallo e ad alto contrasto tracciati dalla sezione Esplora di Grindr, chi prova a chiedere cittadinanza o asilo al punto d’incontro tra le coordinate delle voglie e quelle della ripugnanza: come latitudine la smania di potenzialità, come longitudine l’insoddisfazione di riuscire a realizzarla ogni volta con una facilità tale da generare sospetto, a metà strada tra il dono e l’estrazione di valore. Le forme di sessualità situazionali e contingenti che ne vengono fuori assumono dei tratti plastici, per riprendere una terminologia esplorata da Catherine Malabou, che nell’incipit di Ontologia dell’accidente paragona il corso di una vita a quello di un fiume: ogni ansa, argine o deviazione non farebbe che realizzare progressivamente l’affermarsi naturale di un’identità stessa, uscendone rafforzata, più che contraddetta, da ogni sua trasformazione nel corpo come nell’anima. Come però sottolinea subito Malabou, “quest’inclinazione esistenziale e biologica progressiva, che non fa che trasformare il soggetto in se stesso, non dovrebbe farci dimenticare il potere della deflagrazione plastica [plastiquage] di questa stessa identità, potere che trova rifugio sotto la sua apparente levigatezza, come una riserva di dinamite nascosta sotto la pelle di pesca dell’essere per la morte” (Malabou 2019, p. 31). L’incontro occasionale, riuscito o fallimentare che sia, diventa in queste situazioni l’evento accidentale capace di plasmare volta dopo volta il percorso di chi se ne fa portatore.
« Hooked up with a guy one december night, returned home right after and realized I was a lesbian » Stazione centrale, Napoli.
« Very probably my gay awakening. even more probably the reason why I should go to therapy » Via Arcidiacono, Acireale.
Nel capitolo “Diaspora amorosa” del romanzo Stradario aggiornato di tutti i miei baci di Daniela Ranieri, la voce narrante osserva: “Alcuni uomini sono collegati tra loro. Da me, certamente. Non solo nel senso che sono io un grado di separazione tra loro, il primo ostacolo fisico alla corrente di concupiscenza che si libera dai loro corpi; che hanno tutti il mio numero di telefono e che tutti mi hanno tenuto tra le braccia; bensì nel senso che essi si sono incontrati in me in tempi diversi. Condividono il quadrante sentimentale della mia vita fotografato in istanti successivi. Fanno parte dello schema, che hanno modificato per un po’, come stelle di passaggio” (Ranieri 2021, p. 56).
Più che raggi di un’unica ruota o lune dello stesso pianeta, l’occasionalità queer assume le forme di un fitto reticolo o di un’affollata costellazione: è proprio in Queer Constellations. Subcultural Space in the Wake of the City che Dianne Chisholm ha notato opportunamente che “la porosità di una città che fa parte delle costellazioni queer ci permette di vedere la complessità della storia anche quando questa è immersa nelle capitali (e nel capitalismo) della postmodernità. Il ‘quartiere gay’ è un luogo straordinariamente poroso: è il luogo in cui la vita gay viene vissuta all’aperto, in quelle stesse strade che sono canali di contatto intimo e collettivo, e arterie fondamentali per il commercio” (Chisholm 2004, p. 45). Come ricordato da Jack Halberstam, il concetto di porosità era esemplificato secondo Walter Benjamin “dagli spazi urbani che mostravano i cambiamenti nelle modalità di commercio o il contenuto della strada in città, i flussi di scambio e di desiderio” (Halberstam 2022, p. 193); o, aggiungiamo noi in questa sede, da città come Napoli, dove per il filosofo tedesco “l’architettura è porosa quanto questa pietra. Costruzione e azione si compenetrano in cortili, arcate e scale. Ovunque viene mantenuto dello spazio idoneo a diventare teatro di nuove impreviste circostanze. Si evita ciò che è definitivo, formato. Nessuna situazione appare come essa è, pensata per sempre, nessuna forma dichiara il suo ‘così e non diversamente’” (Benjamin 2007, p. 6). Un luogo in cui “è difficile distinguere le parti dove si sta continuando a costruire da quelle ormai già in rovina. Nulla infatti viene finito e concluso. La porosità non si incontra soltanto con l’indolenza dell’artigiano meridionale, ma soprattutto con la passione per l’improvvisazione. A questa in ogni caso vanno lasciati spazio e occasioni” (ibid., pp. 7-8). Frammentaria, porosa, e discontinua sarebbe di conseguenza la vita privata di chi abita questi luoghi, così come lo sarebbe la sessualità di chi abita quella città globale le cui strade emergono tanto dai teneri resoconti degli esploratori della memoria di Queering The Map quanto da quelli più crudi degli avventori delle app d’incontri (e proprio dalle rovine prende le mosse il percorso di ricerca di Lorenzo Petrachi di archeologia delle pratiche di amicizia, nel suo Rovine dell’amicizia. Il progetto incompiuto di Michel Foucault).
Questa sessualità porosa e plastica, accidentale e accidentata, può ricordare ironicamente (secondo logiche più figurative che propriamente metaforiche) il mondo di vita delle diatomee, elette dalla filosofa politica Angela Balzano ad Amazzoni femministe e postumane nel suo saggio Per farla finita con la famiglia: “le diatomee sono simili alle piante, hanno la clorofilla e tutte le carte in regola per la fotosintesi, ma sono anche simili ad animali, o meglio, queste alghette poliedriche sono compostiste: una potente combinazione di geni presenti in animali, piante e batteri. […] Le diatomee sono il fertilizzante della foresta amazzonica, con lei si fanno humus e compost, sono divinità ctonie per eccellenza” (Balzano 2021, pp. 146-147).
« I met you somewhere on this island for the first time. I haven’t felt the same about anyone since. I hope we meet again, in this lifetime or the next » Via Scialoja, Procida.
« Buying sex toys with my primary school old friend Valentina » Via Cuneo, Rimini.
« Had sex in the middle of the woods after Christmas lunch with family. It was amazing » Via Parco del Peralto, Genova.
In un’epoca di dissoluzione normativa in cui anche l’elargizione dei diritti civili rischia di essere sussunta sotto logiche liberali (cfr. Chitty 2023, pp. 244-255 e Zappino 2019)– critiche valide sotto un’ottica generalmente occidentale a forte traino statunitense, e al tempo stesso capaci di suonare crudelmente utopiche una volta calate nel contesto italiano –, la nozione di queer, se vuole continuare a respirare e conservarsi in direzione ostinata e contraria nel suo carattere intrinsecamente anti-identitario e anti-normativo (così come suo proposito dal principio) non può che espandersi e restringersi strategicamente come un diaframma. Adottando un approccio da egli stesso denominato realismo queer, Christopher Chitty sceglie di definire la normalità come uno status, capace di accrescere i vantaggi materiali di chi lo raggiunge o vi è nato, e propone di rielaborare il queer “come una categoria descrittiva più ristretta che indichi la mancanza di tale proprietà statutaria: coglie il modo in cui le norme e sessuali e di genere vengono indebolite, danneggiate e riaffermate sotto condizioni di crisi sociale, politica ed economica locale e generalizzata” (Chitty 2023, p. 26).
Quella della contingenza potrebbe essere, nel nostro caso, più che una via da imboccare o una nuova strada da battere, un vicolo in cui appartarsi. Se “l’arte queer del fallimento guarda all’impossibile, all’improbabile, al mediocre e all’irrilevante […], perde senza scalpore, e perdendo rende immaginabili altri obiettivi nella vita, nell’amore, nell’arte, nel modo di stare al mondo” (Halberstam 2022, pp. 147-148), allora perdere senza scalpore implica non perdere di vista che, come notato dal critico letterario William Marx, “les gais sont aux hétéros un rappel inquiétant de leur contingence” (Marx 2018, p. 35): per gli etero i gay sono un inquietante monito della loro contingenza. Un’inquietudine, quella di un’erbaccia cresciuta inaspettata tra le rovine dell’eterosessualità, da portare con orgoglio e non dissipare; è ancora Balzano ad avvisarci, ricordandoci che “le parentele postumane non hanno il volto rassicurante e l’aura romantica dell’amicizia antropomorfizzante, sono relazioni conflittuali che non riguardano il singolo individuo umano e non-umano, non sono raffigurabili nel quadretto bucolico dell’amore a due, del tipo la bimba e la pecorella, il ragazzo ed il cane. No, le parentele postumane somigliano ad assemblee […] vengono intessute da molteplici attor* naturalsociali su scala g/locale, possono essere mostruose” (Balzano 2021, p. 107).
In maniera non dissimile gli incontri queer, una volta che scegliamo di qualificarli e distinguerli più per la loro contingenza materiale che per una loro presupposta essenza comune, possono “raggiungere i bordi di questo mondo incosciente in cui le intimità si allargano e i gesti scattano meccanici e le parole sono soltanto rantolii e mugugni e i corpi troppo paurosamente simili a macchine gettate in manutenzione, a robot impazziti e arrugginiti, a codici disuguali, a doppi tragici delle nostre vite, e ognuno ora sta vivendo la propria storia, risorgendo i fantasmi, sognando situazioni al di fuori del tempo, ognuno sta rigettando i detriti della propria storia, li sta digerendo, assorbendo oppure vomitando, sputando, scoreggiando, eiaculando. Il cesso è del corpo come il letto del cervello”. Continua il nostro Pier Vittorio: “Questo mi dice il silenzio attutito di una camerata di notte: che siamo macchine in balia di se stesse a cui hanno staccato i circuiti e che vanno alla deriva fra brusii e vagiti e grida evacuando dagli sfinteri cerebrali le proprie frequenze emotive e nervose” (Tondelli 1989, p. 68). È forse proprio su questa frequenza che si instaura e si rinnova ogni giorno la frontiera di chi, eccentrico, nomade o apolide, ha fatto dello sconfinare nelle case e nei corpi altrui il suo movimento più autentico.
Bibliografia
Balzano, Angela (2021): Per farla finita con la famiglia. Dall’aborto alle parentele postumane. Milano: Meltemi.
Benjamin, Walter (2007): Immagini di città. A cura di Enrico Gianni. Torino: Einaudi.
Castelli, Federica (2019): Lo spazio pubblico. Roma: Futura.
Chisholm, Dianne (2004): Queer Constellations: Subcultural Space in the Wake of the City, Minneapolis: University of Minnesota Press.
Chitty, Christopher (2023): Egemonia sessuale. Sodomia, capitalismo e l’arte del governare. Trad. it. di Biagio Mazzella. Milano: Meltemi.
Edelman, Lee (1994): Homographesis: Essays in Gay Literary and Cultural Theory. New York: Routledge.
Eribon, Didier (2015): Riflessioni sulla questione gay. Trad. it. di Viviano Cavagnoli. Milano: Edizioni ariele.
Halberstam, Jack (2022): L’arte queer del fallimento. Trad. it. di Goffredo Polizzi. Roma: minimum fax.
Kern, Leslie (2021): La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini. Trad. it. di Natascia Pennacchietti. Roma: Treccani.
Malabou, Catherine (2019): Ontologia dell’accidente. Saggio sulla plasticità distruttrice. Trad. it. Valeria Maggiore. Milano: Meltemi.
Marx, William (2018): Un savoir gai. Parigi: Les éditions de minuit.
Petrachi, Lorenzo (2022): Rovine dell’amicizia. Il progetto incompiuto di Michel Foucault. Napoli-Salerno: Orthotes editrice.
Ranieri, Daniela (2021): Stradario aggiornato di tutti i miei baci. Milano: Ponte alle Grazie.
Ravasio, Alberto (2022): La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera. Macerata: Quodlibet.
Tondelli, Pier Vittorio (1989): Pao Pao. Milano: Feltrinelli.
Zappino, Federico (2019): Comunismo queer. Note per una sovversione dell’eterosessualità. Milano: Meltemi.
Immagine di copertina: dettaglio di Reificazione #69 (2020) di Dario Maglionico (@dariomaglionico), su gentile concessione dell’artista. Puoi trovare altri suoi lavori qui.
Biagio Mazzella (@bia.mazzella) è allievo del Collegio superiore dell’Università di Bologna e studente di scienze filosofiche. Ha conseguito la laurea triennale in filosofia con una tesi su Donna Haraway e le teorie queer antisociali e utopiche. Ha frequentato il modulo Scienze del Master in Studi e Politiche di Genere dell’Università Roma Tre in cui è stato successivamente ospite come docente. Ha studiato presso l’École Normale Supérieure e l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne. È redattore del magazine di Treccani «Il Chiasmo» su cui scrive di letteratura italiana contemporanea e ha tradotto Egemonia sessuale. Sodomia, capitalismo e l’arte del governare di Christopher Chitty per la collana Culture Radicali di Meltemi.
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