Orgiassassina

Sto forse sognando? Esistono letti così grandi nella realtà? E questi corpi che s’intrecciano, si dimenano, si insalivano, senza categorie che tengano, esistono al di fuori di questa stanza? Rachele e Giulia là, sulla poltrona, non si vedevano da tempo e stanno recuperando tutte le occasioni buttate nel corso degli anni – si danno un gran da fare; Stefano e Filippo invece sono sempre insieme, sempre al centro del letto, a loro piace partire dal noto e finire tra le braccia l’uno dell’altro, attirando nella loro orbita diversi corpi nel mentre; Veronica, Giuseppe, Laura, il magico trio, la troppia che scoppia di piacere e finisce per invadere tutte le altre, al momento sul tappeto, in disparte; e tu chi sei? Piacere, Marco, mi dici, allungando la mano sul mio petto, rivolgendomi uno sguardo bramante a cui non riesco a dire di no. Non ti rispondo a voce, ma qualcosa in me si attiva, s’inturgidisce, inizia a stimolarmi in ogni innominabile parte. Le labbra si avvicinano, gli occhi si chiudono, pronti ad abbandonare il timone alle dita, alla lingua, al naso, a questi fili invisibili che si intrecciano e vibrano e legano le nostre palpitazioni deliranti. Capelli scarmigliati dal vento della passione, pupille dilatate dal buio del piacere, respiro che si affanna incapace di rincorrere ulteriormente questo desiderio dilagante.

         Riapro gli occhi e sono al mare, in una meta turistica che non so identificare. Tu mi stai tenendo la mano, siamo in costume e spensierati, l’odore di sale ancora incrostato sui nostri baffi. Mi sorridi in maniera genuina, ripenso a quando ci siamo conosciuti, in quella stanza oscura dove a guidarci era il desiderio cieco e affannato. Schiocca il tuo bacio sulle mie labbra, leggero, e vola via. Sentiamo un gran chiasso provenire dalle grotte laggiù, non si capisce se sia scandalo o spavento, o gioia o leggerezza. Ci avviciniamo, i nostri piedi nell’acqua cristallina; di solito la mia pelle al sole estivo si arrossisce, appassisce, si squama, ma oggi c’è questo venticello fresco, c’è questo mare che rinnova la mia voglia di scorrazzare, di tenerti la mano e ridere con te. Sono innamorato, ma ancora non lo so, non conosco le parole necessarie per organizzare quest’accozzaglia di frastuoni interiori in pochi e semplici concetti immediatamente comprensibili. E allora ti dico che sei bello, ti passo la mano fra i capelli, trovo quel solito spazio sulla nuca che è ormai diventato il mio modo di comunicarti che sei proprio tu che voglio ora qui con me. Mi lanci uno sguardo di traverso ma carico di complicità, avvampa in me questo braciere mai acquietato; le parole cadono, bruciate, ai miei piedi, del vapore sibila al contatto col mare, come conchiglie si depositano nella sabbia fine, i nostri piedi le ricoprono.

         Posso? Mi chiedi mentre mi prendi un piede, anticipando quella mia paura atavica del sessuale quando incontra una parte del corpo nota per il proprio odore. Certo, ti rispondo, fingendo sicurezza, domandandomi se li ho lavati per bene i piedi prima di entrare in questa stanza. La punta del tuo naso me li sfiora, la tua lingua calda e umida accarezza le zone interstiziali delle dita, offre loro attenzioni e riparo. La tua bocca si fa grotta in cui posso immergere i piedi, i sussulti che il mio corpo produce non declamano scandalo ma gioia. Questo momento pornografico lo inscrivo nell’amoroso. Ti tiro per il collo verso di me, premo il tuo corpo contro il mio, mi avvinghio al tuo piacere sollecitando il mio. Una mano si posa, la tua testa si solleva piacevolmente sorpresa: è arrivata Rachele, curiosa, sporca di Giulia. Le sue dita umide hanno trovato anch’esse un rifugio temporaneo in questo tuo tempio greco che è sopra di me, ansimante di desiderio. Veronica è ormai seduta su di me come una maschera d’ossigeno in questa stanza buia.

         Non pensavo fosse così buio, mi dici tu mentre entriamo nella grotta. Le voci rimbalzano sulle pareti, ci guidano verso il centro di interesse da noi creato nel nostro avvicinamento. Qua dentro il sole non arriva, se non occasionalmente, quando qualche parte erosa della roccia non ne lascia entrare che un esile spiraglio: oscuro trionfa il mare. Una guida turistica ripete roboticamente frasi in inglese che ci fanno sorridere, le nostre mani ancora intrecciate. La roccia fa da cornice a un mare scuro, inscrutabile; percepiamo presenze ma le voci hanno cessato di dire. I piedi s’immergono nell’acqua salata, fresca e inaspettata. Improvvisa, una superficie morbida e umida si avvicina al mio ginocchio, istintive le nostre mani si slegano; avvicino il palmo destro a questa superficie vivente, è ruvido e bagnato, ma inclassificabile altrimenti. Cos’è? ti chiedo un po’ atterrito.

         Non preoccuparti, è un massaggiatore prostatico, ti dico con una vena che pulsa di piacere sul collo. Il tuo corpo si irrigidisce leggermente mentre affondo questo gioco dentro di te. Rachele ti stimola i capezzoli mentre la tua mano, bagnata, la sta facendo sussultare. Hai proprio dei bei genitali, ti dico soddisfatto. Veronica si è spostata verso Stefano, Filippo percorre il mio collo con labbra e lingua. Il pulsante fa scattare il massaggiatore dentro di te, le vibrazioni iniziano a espandersi nei tuoi muscoli, nei tuoi nervi, nelle tue ossa. Quel coro a due voci si fa sempre più androgino, rimbalza tra le pareti inconsistenti di questa stanza assorbendo individui, personalità, desideri disparati e disperati, che non trovano parole per dirsi se non questi versi sgrammaticati, squilibrati, spiritati. Il tono si alza, l’eco si fa più forte – questa grotta oscura risuona di noi.

         Un’orca assassina? Un delfino? No, è troppo grande per essere un delfino, dici tu, preoccupato, usiamo la torcia del telefono! Pare proprio un’orca, anche se non si direbbe assassina. La accarezziamo mentre produce dei rumori di candida tenerezza. Ma che occhi ha? Ti abbassi, illumini gli occhi posti lateralmente su questa testa enorme. Sembrano usciti da un manga, dico io sorpreso. Stiamo sognando? Sono solo, nel mio letto, senza te? Non sei altro che una mia proiezione, una mia immagine mentale, Marco? Ti guardo sbigottito e ti ritrovo inconsistente. Che c’è? mi chiedi preoccupato. Non so più cos’è reale, nuovamente, constato freddamente. Sicuramente questo essere non lo è, mi dici tu, visibilmente scosso da questi occhi da ragazzina sognante di un qualche fumetto giapponese. La tenerezza si sovraccarica e ricade nel terrore – quest’orca ha uno sguardo dolce e assassino.

         Stringimi il collo, mi implori mentre Rachele ebbra di piacere si agita sopra di te vibrante. Dalla mia bocca calo un filo di saliva che scivola sulla tua lingua e dentro la tua gola. I tuoi occhi mi comunicano che sei vicino, che ci desideri, che questa stanza non potrà più contenerci. Trattieni il respiro mentre lei si fa sempre più rapida, mentre io stringo sempre di più; gli occhi si ribaltano, qualche grido erutta dalla tua gola, io e Rachele partecipi e carnefici di questo piacere dirompente. La tua schiena si inarca, Marco, la tua testa si sposta tra le mie gambe, respira con affanno sul mio perineo, morde la mia coscia, ma io voglio solo essere spettatore, ora, del tuo bellissimo piacere ansimante. Rachele soddisfatta si accascia accanto a te, sudata; io, animalesco, mi allungo nel letto e trovo Veronica e poi Stefano, ancora avvinghiati. Continuo a guardarti mentre esploro i loro corpi, assetato di tuo piacere espando il loro, l’intesa ci avvolge: da questo momento non so più guardarti senza desiderio.

         Spaventato ti allontani da me e da quest’orca che continua a ricercare la mia mano. Sento i tuoi piedi che cadono frettolosamente nell’acqua bassa, la sabbia che abbraccia le tue caviglie mentre ti manca l’aria. Inciampi, ma non sai su cosa. La tua schiena crea uno schiaffo d’acqua che riecheggia in quest’antro oscuro. Impaurito, con la punta dei piedi percepisci qualcosa nella sabbia, trasportato dall’acqua come se volesse purificarsene. Tremante ti avvicini a tastoni a quest’oggetto, ne percepisci l’umidità, ma ti sembra familiare. Il buio non ti permette di vederlo, ma riesci a riconoscerlo con le mani: un piede umano ancora caldo, il sangue ormai agli sgoccioli, rimane inanimato tra le tue falangi. Getti un grido quasi mostruoso, scagli il piede lontano da te, che affonda come un sasso in un laghetto di montagna, pluf. Ma che succede? ti chiedo io, impossibilitato a vederti in questo buio. Non muoverti, mi intimi, queste orche sono davvero assassine. La mia mano si posa con calma sulla testa dell’orca ai miei piedi, non capisco che succede ma mi fido del tuo giudizio, cerco di allontanarmi ma a ogni passo la punta del naso dell’orca mi raggiunge, pacata e inesorabile. Pensavamo di essere soli qua dentro, ma forse soli non lo siamo mai. Andiamocene da qui, fuori dall’acqua non potranno seguirci, dici tu ormai oltre la paura. Eppure, qui, le orche sanno camminare. Sono predatori instancabili che si cibano del sangue di visitatori come noi. Questa grotta, ci rendiamo improvvisamente, finalmente conto, non è mai stata nostra da abitare.

 


Luca Pinelli (he/they) fa parte dell’Altrosessuale. Si occupa di letteratura inglese tra fin de siècle e modernismo (Oscar Wilde, Virginia Woolf), storia e teorie femministe (Woolf, Simone de Beauvoir, femminismi materialisti), teorie queer e pensiero radicale. Ha scritto per Limina rivista e per altre pubblicazioni accademiche. Per l’Altrosessuale ha scritto il Manifesto bisessuale.


 


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